No, coming out e outing non sono sinonimi
Le lotte della comunità LGBT+ continuano imperterrite ed inarrestabili.
Sebbene il tema sia molto presente nelle discussioni odierne, si fa ancora confusione su ciò che concerne la vita di una bella fetta della popolazione mondiale.
Questo accade fin dalle basi della questione. Non è ancora chiara, infatti, nemmeno la differenza tra coming out e outing.
Molte persone utilizzano le due espressioni come fossero interscambiabili, come meri sinonimi. Ciò che non sanno, però, è che la differenza tra le due può compromettere la vita degli appartenenti alla comunità queer.
Il coming out (dall’inglese “uscir fuori”) è la libera scelta che un membro della comunità LBGT+ decide di fare, rivelando la sua appartenenza al suddetto mondo agli altri, alla famiglia, agli amici, alle persone in generale.
L’outing (dall’inglese “esposto”), invece, è ciò che il soggetto subisce da un altro. L’outing avviene, perciò, quando un individuo decide di rivelare l’identità di genere o le preferenze sessuali di un’altra persona senza il permesso di quest’ultima.
Ne va da sè che, sebbene entrambe le azioni comportino come risultato l’esporre una verità, coming out e outing non siano per niente comparabili.
La prima è una decisione profondamente ponderata, razionalizzata e volontaria. Viene presa dopo aver valutato tutti i pro e i contro, successivamente all’aver considerato le differenze che l’esposizione potrebbe comportare nei confronti della propria vita e delle persone che ne fanno parte.
La seconda, invece, è una vera e propria violenza, una privazione di un momento catartico e fondamentale nella vita di un soggetto. Ma ancor più esporre un’altra persona significa lanciarla nel mondo senza paracadute, lasciandola alla mercé delle possibili irrispettosità altrui, delle quali la prima è l’outing stesso.
Giovanna Iengo
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