Willie Peyote alias il grillo cantante
Con il suo rap cantautorale o cantautorato rappato, espressione di una mordace satira politica e sociale, Willie Peyote si qualifica come uno degli artisti più validi nella scena contemporanea.
La sua partecipazione alla 71° edizione del Festival di Sanremo è stata accolta con grande entusiasmo.
La canzone presentata, Mai dire Mai (la locura), prometteva bene, ma non è riuscita a salire sul podio, fermandosi al sesto posto. Ciò nonostante, ne è stata ufficialmente riconosciuta la qualità con l’assegnazione del Premio della critica Mia Martini.
I testi schietti e pungenti da lui stesso scritti non sono prodotti fittizi volti alla costruzione commerciale di un personaggio pubblico polemico e provocatorio, ma rispecchiano la sua reale personalità. Egli non nasconde la sua natura fortemente ironica e critica verso sé e gli altri.
Non è poi un caso se nella serata delle cover ha scelto di duettare con Samuele Bersani Giudizi universali: in un’intervista Willie ha ammesso di sentirsi rappresentato dal testo della canzone già dal primo verso: “troppo cerebrale”.
Il suo cerebralismo lo spinge a interrogarsi spasmodicamente sulla realtà circostante. Da queste riflessioni nascono i suoi testi attraverso i quali mira a scuotere gli ascoltatori spingendoli a compiere lo stesso processo ermeneutico.
Willie mette in musica tutto ciò che lo smuove: spicciole e personali faccende quotidiane, dilemmi esistenziali, macro-dinamiche sociali e politiche. Alcuni temi, come l’amore o l’antirazzismo potrebbero sembrare scontati, ma vengono da lui declinati in maniera alternativa rispetto alla solita solfa.
È il caso dell’amore di cui parla con estremo realismo e cinismo, mettendone allo scoperto i lati spigolosi e animaleschi. Si dà ampio spazio ai rapporti occasionali e finiti. Il suo pensiero scettico circa il “vissero felici e contenti” emerge ad esempio nel testo de La mia futura ex moglie “così perfetta se ne andrà comunque”.
Un altro tema a lui caro è, come detto, l’antirazzismo. In una video- intervista per Mugs ha spiegato che così come l’amore lo fa soffrire inducendogli il bisogno di parlarne, lo stesso avviene con la questione razziale, purtroppo ancora irrisolta. Famose in tal senso Mango e Io non sono razzista, ma… pezzo costruito sin dal titolo intorno ai cliché come una sorta di battle rap tra luoghi comuni.
Ascoltando le interviste del cantautore se ne scopre la profondità e d’animo e l’enorme cultura. Sembra proprio una persona alla mano, piacevole e acuta con cui passare una serata intera davanti a una birra a chiacchierare di qualunque argomento, senza mai controllare l’orologio.
La franchezza è sicuramente la sua peculiarità. Non ha peli sulla lingua e proprio per questo lo si ama così com’è: umanamente spontaneo e artisticamente illuminante.
Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, è nato a Torino nel 1985. Il suo nome d’arte da un lato ricorda volutamente quello del personaggio Warner, dall’altro si riferisce al cactus “peyote” che provoca effetti allucinogeni.
Ancora altre curiosità biografiche: è laureato in scienze politiche con una tesi sulla rivolta di Los Angeles del 1992 e ha lavorato in un call center.
Tutta la famiglia sa suonare uno strumento e pertanto il suo rapporto con la musica è cominciato molto presto, soprattutto grazie all’influenza del padre batterista che il giovane Guglielmo seguiva in tournée. A quattordici anni circa ha iniziato a suonare il basso, sperimentando diversi generi, come il rock e il punk che rimangono i suoi preferiti insieme al rap e al cantautorato. Nel 2005 è approdato definitivamente al mondo dell’hip hop con la fondazione degli S.O.S Clique, con cui ha pubblicato diversi demo e l’EP L’erbavoglio (2008).
Ha proseguito da solista con la trilogia di EP Manuale del giovane nichilista (2011-2012) e con il primo album registrato in studio Non è il mio genere, il genere umano (2013).
Sebbene con queste pubblicazioni si fosse già fatto notare per il suo hip hop sui generis musicalmente eterogeneo,è stata l’uscita del secondo album Educazione sabauda (2015) a decretarne il successo su ampia scala.
Qui convergono i diversi stili e temi che avevano caratterizzato la sua musica sin dagli esordi. È una sorta di concept album che segue il processo di formazione e di maturazione professionale e personale dell’autore. Centrale è il motivo del lavoro a tempo indeterminato, già affrontato precedentemente come fonte di frustrazione, a cui può finalmente dire addio. È un disco crudo con cui Willie affronta a viso aperto e con parole dure sé stesso e le verità tabuizzate. È composto da 15 tracce, tra cui spiccano: Che bella giornata, C’era una Vodka, Io non sono razzista ma…
Segue il terzo album Sindrome di Tôret (2017) che è composto da 13 tracce (tra cui Ottima scusa, Metti che domani, Le chiavi in borsa) e che, grazie all’accompagnamento di una band, unisce sonorità diverse coniugando rock, rap, jazz e funky. Leitmotiv è la spietata denuncia sociale.
Veniamo al quarto disco pubblicato il 25 ottobre 2019 dalla Virgin Records: Io degradabile. L’uscita è stata anticipata dalla già citata La tua futura ex moglie per poi proseguire con altre 11 track (Mango, Mostro, Miseri tra le altre).
In apertura è posta una intro di un minuto – che ricorda gli annunci delle Signorine Buonasera – con la quale si anticipa il tema portante dello “sceneggiato” di reminiscenza senechiana: «il tempo, il rapporto dell’uomo con esso, cercando di rispondere alla domanda “sapessimo il tempo che resta sapremmo davvero usarlo meglio?”».
Nell’era moderna il concetto di tempo è diventato ancora più problematico e permeabile: si è velocizzato al punto da essere inafferrabile. Tutto viene mercificato per poi degradare e decomporsi.
Per Willie dovremmo adoperarci affinché le cose durino, ma nessuno è abituato ad impegnarsi per raggiungere tale fine ed è anche per questo che le relazioni finiscono. Per “eternare” dovremmo partire da un miglioramento di noi stessi, ma se il mondo scade, vuol dire che siamo proprio noi i primi a marcire. È un cane che si morde la coda.
Anche la musica – laddove oggi esistono piattaforme streaming che ti permettono di ascoltarla dove e quando vuoi – dura di meno. Infatti, secondo il rapper è inverosimile che i musicisti contemporanei durino nelle generazioni come un Battisti o un De André.
Allora la copertina macabro-ironica della testa di Willie in vaschetta scaduta è una sinossi perfetta del significato complessivo.
Iodegradabile è il suo prodotto più maturo. Si notano le differenze rispetto ai precedenti: dichiarata è la maggiore propensione verso il cantautorato.
Un artista deve evolvere e variare il suo stile in concomitanza con i cambiamenti nella vita e nella situazione socio-storica.
Proprio il momento storico che stiamo vivendo ha ispirato Mai dire mai: fotografia che sbeffeggia le ipocrisie della società odierna nella quale conta più l’apparire sui social che l’essere nella vita reale.
Da segnalare tra le ultime curiosità – oltre all’uscita sporadica di singoli come La depressione è un periodo dell’anno – c’è la pubblicazione recente di un suo libro intitolato Dov’è Willie,in cui l’autore disquisisce con Giuseppe Civati.
In conclusione, perché amare Willie? Perché con le sue liriche ingegnose e mai banali che intersecano giochi di parole a giochi concettuali ci offre un esempio di rap impegnato che ci conduce attraverso la “selva oscura” di questo intricato mondo contemporaneo, fornendoci gli strumenti per osservarlo con lente lucidamente analitica.
Giusy D’Elia
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