Amori divini (non corrisposti)
Amori e trasformazioni.
Seduzione e possesso.
Dei, ninfe e mortali.
Gli amori divini, si sa, non sempre sono stati rose e fiori.
La letteratura greca, come quella latina, è intrisa di storie d’amore, tra mortali, tra dei, ci sono anche miscugli dei due mondi ma, non sempre, quest’amore è candido e puro e i miti greci ne sono la prova.
Da giugno a ottobre del 2017, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli venne installata una mostra dal titolo Amori Divini a cura di Anna Anguissola e Carmela Capaldi, con Luigi Gallo e Valeria Sampaolo, ed è proprio attraverso alcune delle opere esposte in questa mostra che vi racconterò le storie amorose più famose, e anche più tormentate, della mitologia greca.
Iniziamo con uno dei miti più conosciuti, quello di Dafne e Apollo. Apuleio nelle sue Metamorfosi racconta che Apollo, dio del sole e di tutte le arti, fiero di aver sconfitto il serpente Pitone, se ne vantò con Eros, dio dell’amore e derise quest’ultimo per il fatto che non avesse mai compiuto azioni gloriose con il suo arco. Fu così che Eros, irato, pianificò una vendetta: preparò due frecce, una d’oro, con il potere di far innamorare chi ne fosse stato colpito e l’altra di piombo con il potere di respingere l’amore. Il dio dell’amore scagliò la prima freccia su Apollo e la seconda sulla ninfa Dafne, figlia di Gea e del fiume Peneo. Il dio del sole, innamoratosi profondamente, iniziò a perseguitare la ninfa che, sdegnata da quell’amore, scappò impaurita. Quando Dafne si accorse di non poter fare nulla per liberarsi di Apollo chiese aiuto a sua madre, Gea, pregandola di trasformare il suo aspetto e così, quando Apollo riuscì a raggiungere Dafne, ella iniziò il suo mutamento: la bella ninfa divenne un leggendario e forte albero che prese il nome di Lauro, dal greco δάϕνη che significa proprio “alloro”. Il dio disperato continuò ad abbracciare il tronco con la speranza di ritrovare la sua amata ma, considerati vani tutti i tentativi decise allora che la pianta di alloro sarebbe stata da quel momento la pianta sacra al suo culto e che sarebbe divenuta un simbolo di gloria. E, infatti, ancor oggi, si è solito omaggiare i migliori fra gli uomini (laureandi compresi!!!) con una corona d’alloro.
Ma passiamo adesso al mito di Ermafrodito. Ovidio racconta che Ermafrodito, figlio Ermes e Afrodite, rispettivamente il messaggero degli dei e la dea della bellezza e dell’amore, era un ragazzo estremamente bello, tanto bello da far innamorare la ninfa Salmace. Questa, non ricambiata, decise di chiedere agli dei di essere unita al giovane per l’eternità. Fu così che, attirato il ragazzo nelle acque profonde di una fonte, Salmace ed Ermafrodito si legarono, diventando un essere unico, metà donna e metà uomo.
È arrivato il momento di raccontare un mito che ha come protagonista colui che di relazioni amorose ne ha avute anche troppe, il capo degli dei, il dio del cielo e del tuono: Zeus. Tra i suoi tanti innamoramenti, c’è quello per un giovane principe troiano dal bell’aspetto, Ganimede; si racconta che quest’ultimo fosse il coppiere di Zeus e che il dio, un giorno, sceso sulla terra con le sembianze di un’aquila, afferrò il ragazzo, lo rapì e lo portò sull’Olimpo donando, in cambio, al padre due splendidi cavalli. Il mito però non finisce qui infatti, la presenza di Ganimede suscitò l’ira e la gelosia di Era, regina degli dei nonché moglie di Zeus. Tuttavia, l’ostilità di Era non fece altro che irritare Zeus che decise allora di porre l’immagine di Ganimede tra gli astri creando la costellazione dell’aquario, posta proprio accanto a quella dell’aquila.
Proseguiamo con un personaggio presente in più di un mito la cui storia è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi: Narciso. Figlio di Liriope e del fiume Cefiso, Narciso era un giovane la cui bellezza poteva essere paragonata a quella di un dio. Sua madre, Liriope, decisa a conoscere il destino del figlio, un giorno si recò dall’indovino Tiresia il quale le disse che Narciso avrebbe vissuto una vita lunga a patto che non avesse mai conosciuto se stesso ma Liriope non capì e la profezia venne ben presto dimenticata. Narciso crebbe, come si direbbe oggigiorno, bello e impossibile tanto che rifiutava qualunque attenzione amorosa. Tanto vanitoso fu che un giorno, regalò una spada ad Aminia, un suo giovane spasimante, con l’invito ad uccidersi per lui e tanto era grande l’amore di Aminia che si suicidò trafiggendosi il cuore. Successivamente, nella vita di Narciso arrivò Eco, una ninfa costretta, per mezzo di Era, a ripetere per sempre solo le ultime parole che udiva. Quando Eco vide Narciso per i boschi, se ne innamorò follemente ma, ancora una volta, la reazione del bel giovane portò sconforto: inorridito fuggì da Eco che, disperata, si rifugiò in una caverna dove trascorse il resto della sua vita, da sola, distrutta dall’amore fino a quando di lei non rimase che la voce. Gli dei decisero allora di punire Narciso mandando sulla terra Nemesi, la dea della vendetta, che mise in atto la profezia di Tiresia facendo in modo che Narciso conoscesse se stesso: così, guardandosi in uno specchio d’acqua, amandosi e apprezzandosi, Narciso passò la sua vita a cercare di afferrare quel riflesso che altri non era che se stesso, fino a quando, un giorno, morì. Si racconta che quando le Naiadi e le Driadi andarono presso il fiume dove egli giaceva per poi portarlo sulla pira funebre, al suo posto trovarono un fiore bianco che, da quel giorno, prese il nome di narciso.
Come potete notare, gli amori divini non sempre sono stati corrisposti e hanno portato non pochi scombini eppure c’è una storia d’amore, eterna, vera, passionale che va in perfetta antitesi con quello che vi ho raccontato fino ad ora: la storia di Amore e Psiche. Apuleio ci ha tramandato la storia di questa giovane fanciulla, Psiche, tanto bella da suscitare l’invidia della stessa Venere (o Afrodite) la quale inviò suo figlio Amore (o Eros) a scoccare una freccia per farla innamorare dell’uomo più brutto che si potesse trovare. Caso volle che Amore sbagliò e si colpì con la sua stessa freccia innamorandosi perdutamente di Psiche. I due allora vissero il loro amore in segreto in un palazzo dove, ogni sera, Amore tornava da Psiche per passare con lei intense notti di passione. Tuttavia, c’era un compromesso: Psiche non avrebbe mai dovuto vedere il volto dell’amato ma, un giorno, spinta dalla curiosità, avvicinò una lanterna al viso di Amore, rimanendo folgorata dalla sua bellezza; purtroppo una goccia d’olio cadde sul viso del giovane dio che svegliatosi scappò via lasciando la fanciulla da sola. Quando Venere venne a sapere del tradimento decise di sottoporre Psiche a delle prove difficilissime ma ella le superò tutte. La dea decise allora di ordinarle un’ultima prova: Psiche sarebbe dovuta scendere negli Inferi e avrebbe dovuto chiedere alla dea Proserpina (o Persefone) un po’ della sua bellezza. La regina degli Inferi le consegnò un’ampolla con la raccomandazione di non aprirla ma Psiche, spinta ancora una volta dalla curiosità, l’aprì e fu inondata da una nube che la fece cadere in un sonno profondo. Tuttavia, quando Amore la ritrovò, la risvegliò e con l’aiuto di Giove (o Zeus) la portò sull’Olimpo, le fece bere dell’ambrosia rendendola una dea e alla fine i due, felici, si sposarono. La leggenda si conclude con la nascita di una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.
È vero, spesso gli amori divini sono stati delle vere e proprie catastrofi, ma è anche vero che ci hanno fatto sognare tanto e la storia di Amore e Psiche ne è la prova!
«Queste cose
non avvennero mai
ma sono sempre.»
– Gaio Sallustio Crispo
Mariachiara Di Costanzo
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