Camihawke racconta l’amore a misura d’errore in “Per tutto il resto dei miei sbagli”
Al suo romanzo d’esordio Camihawke ci arriva “in punta di sbagli”, convertendo la sua biografia di cicatrici in una mappatura emozionale di deflagrazioni interiori e candide resistenze.
Una storia d’amore dal sapore antico, quella tra Marta e Leandro, epistolare (quindi classicissima) eppure avanguardista nel tracciare una nuova frontiera del corteggiamento, un apprendistato sentimentale senza tocco, dilatato dallo spazio sospeso delle attese nell’epoca feroce dell’instant messaging.
Uno Sturm und Drang sconvolgente ma creativo, che ribalta la semantica distruttiva dell’amore tragico e disegna nuove amorevoli alleanze in cui riscoprirsi nudi e fallibili, insieme.
Camihawke è il nickname con cui Camilla Boniardi volteggia nel chiassoso iperspazio del web in un esercizio quotidiano di sincerità e autoironia (quello che lei scherzosamente chiama “Internet verità”, un “umile” raccontarsi senza l’aiutino di filtri dismorfici né furbesche edulcorazioni a indorare la sua narrativa social). Con quella sua maniera tutta effervescente e imperfetta di fare content creating in pochi anni si è guadagnata le simpatie di un milione di followers nel frastuono della rete, scrutando gli astri nel suo “Oroscophawke”, collaborando con piccoli brand del made in Italy, militando per campagne educative come #noigstorieswhiledriving, e prestando il volto come ambasciatrice del “progetto autostima” Dove o per AIRC, supportando la ricerca e la prevenzione del cancro.
Dopo gli esperimenti in radio e in tv (Girl Solvingsu Radio2 e il cooking show con Cracco su Rai2) stavolta il canale in cui sceglie di metterci la faccia (anzi la penna) è quello dell’editoria, sfornando Per tutto il resto dei miei sbagli (Mondadori, 2021), sua prima fatica letteraria che a una settimana dal debutto in libreria è già un successo: 15.000 copie prenotate (solo) nel primo giorno di pre-order e già in vetta alle classifiche dei libri più venduti, asfaltando cognomi titanici come de Giovanni e De Luca.
Il suo primo romanzo è una storia che affonda con delicatezza nelle vertiginose curve dell’amore e dei vent’anni, che si lascia divorare tutta d’un fiato senza le sospensioni patite invece dai due protagonisti, attori di un amore intermittente e insieme purissimo. Una storia dove è facilissimo (soprattutto per i follower veterani) scoprire tracce della Boniardi nella Marta di cui spiamo pensieri e struggimenti: 25 anni, una relazione complicata con i codici della giurisprudenza (una delle tante, nella collezione di scelte poco indovinate), una convivenza forzata con “desideri castrati” e passioni insane con ragazzi rotti, e per finire un portato multipotenziale di passioni ed eclettismi duri a fiorire nel suo ginepraio di insicurezze da sindrome dell’impostore.
Sì perché la nostra eroina dai lunghi capelli color rame (proprio come Camilla) ha il vizio di cucirsi addosso il ricamo dell’inadeguatezza in un masochistico gioco di disprezzo per se stessa e finzione, convinta che “più che splendere, desiderava scomparire, mimetizzarsi fra le persone distanti anni luce da quelle che avrebbe scelto di frequentare se avesse avuto il coraggio di assecondare la sua vera natura”. Proprio come l’autrice, oggi 30enne, nel suo burrascoso vissuto da adolescente borderline: seconda amante (dopo la prima e la fidanzata ufficiale) di un pirla da cui strappare promesse ed elemosinare amore, non abbastanza dark perché senza tatuaggi né piercing (septum escluso), né abbastanza glam per la Milano modaiola dei party di Philippe Pleinn. Fuori luogo ovunque, Marta si barcamena come la Camilla inesperta di qualche anno fa tra una relazione tossica e l’altra con omuncoli senza un briciolo di responsabilità sentimentale, inseguendo il desiderio malsano di sentirsi all’altezza dei desideri altrui e di essere finalmente amata in un mondo di coppie felici dal giorno 0.
Poi d’un tratto, un 21 giugno a caso (giorno del suo 25esimo compleanno), finalmente i romanticismi sopiti e i sofismi d’amore assumono per Marta le fattezze di un volto timido e le carezze di una voce ben precisa: quella di Leandro, il musicista dal sorriso imperfetto che con un appassionato carteggio a colmare la distanza Milano-Perugia diventa balsamo per il suo cuore ormai claudicante. È per lei l’alba di un amore tutto nuovo e giusto (anche se non senza intoppi eh!) in cui accomodarsi senza deformarsi, un amore impreziosito da uno stupendo epistolario di empatiche corrispondenze, scaldato dal tepore di parole lente all’ombra di un tempo disteso. Una relazione che emerge potente e mite come un coraggioso bocciolo in un campo arso dai fallimenti sentimentali, avvolto da una colonna sonora d’eccezione: Jeff Buckley, Explosions in the Sky, The Smiths e Bruce Springsteen sono alcuni dei suoni che musicano le loro lettere, tendendo ponti per accorciare le distanze prima ancora che i corpi dei due trovino una stanza in cui danzare all’unisono.
Al diavolo quindi le “relazioni pericolose”. Gli slanci sofferti verso una proiezione del sé inarrivabile e plastificata. Via le contorsioni agonistiche per compiacere piuttosto che piacersi. Giù le maschere dei ruoli di potere, le impalcature dell’orgoglio e del cinismo uomo-donna che ingessano il valzer dell’innamoramento camuffando piccole intrusioni di fragilità. Marta ritrova l’amor proprio nel travasare nell’altro gli stessi “anestetismi emotivi” che tentava disperatamente di seppellire prima, tessendo così una trama di felicità trasparente sui passi falsi perdonati con “sconsiderata avventatezza”. E non c’è il disegno mortuario e straziato e pop di donne come Giulietta e Anna Karenina immischiate in faccende crudeli che supplicano tragedie per arrogarsi il nome di “amore”, perché, come dice Nanni Moretti in Bianca “La felicità è una cosa seria, e se c’è, deve essere assoluta, senza ombre e senza pena” (come quella condivisa da Camilla col fidanzato Aimone, frontman dei Fast Animals and Slow Kids).
Camilla Boniardi descrive con grande credibilità il profilo psicologico di un’intera generazione, un abisso di emozioni disfunzionali in cui è dura non immedesimarsi: attraverso la finzione della scrittura sceglie con cura le parole con cui perdonarsi i propri di sbagli, senza bugie né orpelli per addolcirne il peso. Restituisce all’errore la rinascita pudica e luminosa che fiorisce dalle avversità, quel riscatto spesso negato da un’etica perfezionista che non conosce macchie, incastrandolo in una trama amorosa fatta di parole e attese dense di desiderio. E di quelle stesse attese che ora, in era Covid, ci risultano così insostenibili, Camilla sa restituirci tutta la bellezza, regalando al lettore l’idea pacificante di essere parte di un tutto impreciso e meraviglioso.
Dal caos rovinoso dei miei 25 anni ti dico grazie, Camilla, per aver sconfessato il taboo del fallimento e aver reso questo disordine passeggero quasi desiderabile.
Francesca Eboli
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