De Catilina coniuratione: la rivolta di un eroe dissoluto
De Catilinae coniuratione è la prima monografia storica scritta da Gaio Sallustio Crispo (86 a. C. – 34 a.C.), storico e politico del periodo repubblicano.
La seconda è il Bellum Iugurthinum sulla guerra di Giugurta. Entrambe sono state scritte nell’ultima fase della sua vita quando, dopo una sventurata carriera politica, decise di ritirarsi a vita privata.
Sallustio compì il suo cursus honorum diventando dapprima questore, poi tribuno della plebe e infine senatore ma, accusato di indegnità morale, venne cacciato dal senato. Durante la guerra civile tra tra Cesare e Pompeo, lo storico si schierò con il primo. Cesare uscì vincitore e per ricompensarlo della sua fedeltà, nominò Sallustio pretore e successivamente governatore della provincia dell’Africa Nova. Dopo essersi arricchito durante il suo proconsolato Sallustio venne accusato di concussione e, probabilmente per evitare un’altra condanna, Cesare stesso gli suggerì di ritirarsi a vita privata.
L’opera (61 capitoli) tratta della congiura messa in atto dal nobile romano Lucio Sergio Catilina nel 63 a.C. nel tentativo di sovvertire l’ordinamento repubblicano di Roma e impadronirsi del potere. Lo storico decise di utilizzare la monografia per approfondire la ricerca su un singolo avvenimento, analizzando in maniera più dettagliata le cause della congiura, il periodo storico, la degenerazione dei costumi e la crisi dei valori tradizionali che da lì a poco avrebbe portato alla fine della Repubblica.
Il De Catilina Coniuratione si apre con un ampio proemio (1-4), in cui lo storico svolge considerazioni generali, spiega i motivi che lo hanno portato alla composizione dell’opera e le sue ideologie filosofiche. Gli uomini che desiderano distinguersi dalle bestie devono cercare gloria eterna con le doti dell’intelletto, ben superiori alla forza fisica.
“Quo mihi rectius videtur ingenii quam virium opibus gloriam quaerere”
Il quinto capitolo è dedicato interamente alla figura di Catilina, capo della rivolta. In Catilina si mescolano nobili virtù e squallidi vizi. Tollerante al freddo, alla fame e al sonno, ma bramoso di denaro e potere, pronto a combattere per i suoi ideali ma utilizzando, senza alcuna esitazione, anche i mezzi più atroci e deplorevoli. Una figura straordinaria sia nella sua grandezza sia nella sua malvagità e depravazione.
Sallustio, dopo il ritratto di Catilina, introduce un primo excursus (capitoli 6-13) in cui tratta velocemente la storia di Roma e i motivi per cui questa piccola città sia divenuta così potente. Il merito va ricercato essenzialmente nei buoni costumi, nella parsimonia e nella libertà dei suoi antenati. Inoltre il metus hostilis (la paura dei nemici) aveva evitato lo scoppio di guerre, favorendo la pace tra i popoli. Ma la distruzione di Cartagine (la caduta definitiva del nemico più pericoloso) e il continuo afflusso di maggiori ricchezze contribuirono a depravare i costumi dei cittadini romani, rendendoli bramosi di potere e disposti a tutto pur di arricchirsi.
Dopo questo primo excursus lo storico riprende le vicende legate alla famosa congiura.
Sconfitto alle elezioni per la carica di console dal rivale Cicerone, Catilina riunì attorno a sé sia individui che appartenevano ai ceti più alti della società sia uomini decaduti, famiglie che ormai avevano perso il potere, proprietari terrieri indebitati, schiavi e tutti coloro che ormai vivevano ai margini della società, promettendo larghe ricompense in cambio della loro fedeltà. Catilina era furbo, ambizioso, e abile nel mentire. Gli bastò poco per circondarsi di persone pronte a ribellarsi e a combattere contro i privilegi e il potere che ormai restavano nelle mani delle poche e stesse famiglie aristocratiche.
Dalle parole passò ai fatti: con l’aiuto del complice Manlio, radunò un esercito e tentò di assassinare il console Cicerone, fallendo miseramente.
Cicerone pose sotto accusa Catilina e gli altri congiurati, pronunciando in senato le famose Catilinarie. Catilina decise di allontanarsi da Roma, rifugiandosi a Fiesole con Manlio, lasciando a Roma uomini fedeli pronti a scatenare e a mettere in atto la rivolta.
Ma i congiurati vennero scoperti e subito arrestati. Il Senato doveva deliberare sulla sorti dei catilinari arrestati, dal momento che Cicerone e molti altri erano favorevoli alla condanna a morte senza l’appello del popolo.
Sallustio in questa parte dell’opera riporta i discorsi pronunciati dal giovane Cesare, che richiedeva una pena più mite, e da Catone l’Uticense che, invece, esigeva la condanna a morte per coloro che avevano mosso guerra contro la propria patria.
Quest’ultimo convinse il Senato a condannare a morte i congiurati: i complici di Catilina vennero giustiziati nel carcere Tulliano.
L’opera si conclude con la descrizione della battaglia di Pistoia tra l’esercito del Senato guidato dal pretore Quinto Cecilio Metello e gli uomini rimasti al fianco di Catilina.
L’armata ribelle è completamente distrutta e il suo leader muore sul campo di battaglia, con il volto fiero di chi ha combattuto fino alla morte, di chi non si è tirato indietro.
Contro chi ha lottato Catilina? Contro la sua stessa patria? O contro famiglie privilegiate che avevano riunito tutto il potere e tutte le ricchezze nelle loro mani? Contro la sua stessa casa? O contro chi aveva accumulato più ville che virtù?
Non lo sappiamo. Come sempre la storia è scritta dai vincitori e non dagli sconfitti.
Mariangelo D’Alessandro
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