Quando i social costruiscono castelli di carta destinati a crollare
Con l’avanzare della pandemia siamo stati tutti costretti a passare un’elevata quantità di tempo in casa.
Spazi stretti e attività ripetitive sono diventati i nuovi componenti di una routine estenuante.
Sveglia, colazione, caffè, pc. E così all’infinito.
Tra un’azione e l’altra si risponde ai messaggi, si aprono Instagram, Facebook, Tik Tok. Uno spazio virtuale estremamente ampio, che si contrappone a quello ristretto e soffocante della vita quotidiana.
Instagram specialmente, detiene un monopolio, ha superato di gran lunga Facebook conquistando l’attenzione di sempre più utenti, e ora, con l’arrivo dei reels, si contrappone anche al giovanissimo Tik Tok.
Il discorso è sempre lo stesso, espandere il raggio d’azione virtuale per permettere una permanenza maggiore all’utente.
E a noi piace, tantissimo. La possibilità di mettere foto, ma anche istantanei pezzi di vita che si autodistruggono, la possibilità di interagire con i nostri conoscenti, ma anche e soprattutto quella di avere a disposizione un’infinita sfilza di video brevissimi selezionati appositamente per noi.
Le ore passano e non ne abbiamo la minima percezione, ma soprattutto, non abbiamo la minima percezione di ciò che assorbiamo in tutto quel tempo, giorno dopo giorno.
Assorbiamo idee, pensieri, stili di vita. Assorbiamo ispirazioni.
E questo costante assorbire forma le nostre opinioni e costruisce aspettative.
I social sono diventati un modo efficace di esprimere pensieri politici e sociali, un mezzo per condividere messaggi positivi e per aiutare tantissime persone ad accettarsi indipendentemente da una pluralità di fattori irrilevanti.
Ma non è sempre così. Perché per ogni video costruttivo, per ogni incoraggiamento e per ogni post sincero, ci sono centinaia di contenuti tossici che non vengono filtrati dalla nostra mente come tali e che intaccano inevitabilmente la nostra visione dei fatti.
Corpo, stile di vita, relazioni interpersonali, studio.
La normalizzazione di una fisicità apparentemente perfetta, ma anche la diffusione di foto e video in cui alcune influencer si mostrano con cellulite e smagliature, con alla base però un corpo magrissimo che diventa modello da seguire.
Le imperfezioni sono parte di noi e tutte hanno la cellulite, ma quello che veramente serve è un cambiamento radicale, vera inclusività, non una propaganda di facciata.
E questo si riflette in tutti gli ambiti, anche i più inaspettati, come lo studio.
Sembrerà banale, ma pensiamo a tutti quei video in cui ci sono scrivanie con pc e appunti perfettamente allineati, tablet con dispense ordinatissime e frasi motivazionali in sottofondo che spingono a non arrendersi, a lunghe sessioni di studio e a gestire la vita con ritmi scanditi.
Tutto questo rappresenta uno stimolo a migliorarsi per alcuni, ma per molti rappresenta un’apparenza di realtà, rappresenta la costruzione di un castello di carta di aspettative destinato a crollare e lasciare solo un’enorme delusione quando ci si interfaccia con la realtà.
Quando non sosteniamo il peso di un esame e falliamo, quando passiamo una giornata senza riuscire ad essere produttivi, quando non abbiamo voglia di allenarci e quando il nostro corpo non rispetta quell’ideale assurdo che ci eravamo prefissati.
L’effetto psicologico di queste piccole cose, che appaiono insignificanti quando vengono prese singolarmente, è enorme se le consideriamo nel complesso.
Il rischio è quello di costruire una società di insicuri, ognuno a modo proprio, a partire dalle persone che creano quei video.
La soluzione?
Normalizzare la normalità.
Motivare, ispirare, ma anche raccontare la realtà, per non costruire alcun castello che potrebbe crollare.
Angela Guardascione
Foto di Roberto Filippini
Vedi anche: Combattere la censura con la beneficenza, l’iniziativa di Ceci n’est pas un blasphème