Rana Ahmad per Ceci n’est pas un blasphème: essere atei nel mondo islamico
Rana Ahmad è una dei protagonisti della nuova edizione del festival Ceci n’est pas un blasphème, festival delle arti censurate, per la libertà di espressione e contro le leggi antiblasfemia.
Scappata dall’Arabia Saudita dopo aver dichiarato la sua apostasia, Rana Ahamd oggi gestisce un’organizzazione di soccorso per i rifugiati atei, Atheist Refugee Relief.
L’attivista ha accettato di rispondere alle domande de La Testata – TLI, ecco la sua intervista*.
Dalla tua incredibile vicenda abbiamo capito quanto possa essere difficile per una donna vivere in Arabia Saudita. Raccontaci il tuo percorso verso l’ateismo, la scienza, la filosofia.
«La prima volta che mi sono imbattuta nell’ateismo è stato su Twitter: scoprii di vivere in un paese di menzogne e raggiri. Ero arrabbiata e triste. Mi chiedevo: perché le persone e la società mentono così spudoratamente? Da allora ho iniziato ad informarmi sull’ateismo studiando anche filosofia e scienze (N.d.R.: Discipline bandite in Arabia Saudita) e non permetto più a nessuno di nascondermi la verità.»
E perché, secondo te, la società dovrebbe mentire ai propri cittadini?
«Il motivo della massiccia censura culturale è la corruzione del governo nei paesi musulmani. L’obiettivo ultimo è manipolare le persone attraverso il loro stesso comportamento. Possedere informazioni e conoscere, per esempio, i diritti umani, renderebbe difficile questo meccanismo di controllo. Questo impedirebbe al governo di avere pieno controllo sul paese, sui cittadini e il loro denaro che alimenta il business del petrolio.»
Ricordiamo che Rana Ahmad ha subito violenze e discriminazioni dalla comunità musulmana e dalla sua stessa famiglia. Rinviamo alla sua biografia per ulteriori dettagli sugli abusi fisici subiti a causa del suo ateismo, scoperto dal fratello. Per questo motivo ancora oggi usa lo pseudonimo di Rana Ahmad e decide di non rispondere a domande più personali.
Secondo te, cos’è che rende alcuni musulmani violenti contro gli apostati? È solo per convinzioni religiose o ci sono cause più profonde?
«Nell’Islam chiunque non sia musulmano, quindi cristiani, ebrei, induisti e perfino gli atei, è chiamato “non credente”, o meglio Kāfir كافر . I musulmani imparano perfino a scuola a perseguitare questa categoria.»
Come attivista ti esponi molto contro le donne occidentali che si convertono all’Islam e decidono volontariamente di indossare l’hijab o il niqab, che tu invece indossavi per costrizione. Credi che siano sempre sinonimo di oppressione?
«Nella mia opinione non ci sono donne che decidono spontaneamente di coprirsi e nascondersi, se non come manifestazione di oppressione e lavaggio del cervello. Non ci sono motivi razionali per vedere il mio corpo come un oggetto. Sotto questo punto di vista coprirsi, anche volontariamente non è un comportamento naturale e spontaneo. »
*Intervista tradotta dall’inglese.
Antonio Alaia
Vedi anche: Antonio Mocciola per Ceci n’est pas un blasphème con arte, cinema e attualità