Tra Fedez e Pio e Amedeo, la parola da lotta a condanna
Abbiamo assistito a numerosissime polemiche negli ultimi giorni.
Tutte aventi un elemento in comune: la forza del linguaggio.
La parola può diventare simbolo di lotta per i diritti umani, può essere arma contro le ingiustizie, ma anche corpo contundente usato per ferire, per uccidere.
Mentre Pio e Amedeo usavano una rete televisiva per esprimere pareri sulle “parole proibite”, Fedez ne usava un’altra per esprimersi a favore di una legge e per parlare di chi vi si oppone, ma pare senza l’approvazione di questa rete.
Fedez ha sfruttato la sua presenza al Concerto del Primo maggio per fare un intervento a favore dei lavoratori, soprattutto di quelli dello spettacolo, che sono stati colpiti duramente dalla pandemia, e del Ddl Zan. Quest’ultima parte è stata dichiarata inopportuna dalla vicedirettrice di Rai 3.
Il rapper, infatti, non ha omesso nomi e fatti, citando alcune frasi omofobe di consiglieri ed esponenti della Lega, come quella di Giovanni De Paoli:
“Se avessi un figlio gay, lo brucerei nel forno” e moltissime altre affermazioni.
Successivamente ha condiviso un video in cui mostrava la telefonata registrata con i vertici della Rai in risposta a coloro che avevano negato di aver spinto Fedez a “censurare” il suo discorso.
Ma mentre una rete televisiva tentava di omettere delle parole, un’altra ha ospitato due comici che hanno basato il loro discorso su questa ormai abusata frase: “Non si può dire più niente”.
Ebbene Pio e Amedeo hanno detto tutto.
Hanno affermato che parole che sono retaggio di una cultura razzista e omofoba dovrebbero comunque essere usate a scopo ironico. Dimenticando, però, che due uomini bianchi eterosessuali non possono deliberare sull’irrispettosità di un termine che è stato da sempre usato per denigrare, per insultare ed escludere altre persone.
Pio e Amedeo hanno dichiarato l’inutilità del gay pride nel 2021, perché gli eterosessuali non hanno una manifestazione corrispondente. Dimenticando, però, che centinaia di migliaia di persone non sono state discriminate negli anni perché eterosessuali.
Dimenticando che un evento come il gay pride non è altro che uno dei tanti momenti di lotta.
Insomma, abbiamo assistito a due eventi che dimostrano quanto la parola possa essere lotta, ma quanto un termine possa essere condanna per moltissimi individui.
E questi interventi hanno palesato ancora di più la separazione, la scissione dell’opinione italiana, che dimentica un elemento fondamentale: la lotta per i diritti.
Lotta per i diritti che potrebbe concretizzarsi con l’approvazione del Ddl Zan, con una presa di coscienza sulle parole che ascoltiamo, parole di odio, che non possono cambiare senso quando traslate in contesti diversi, perché create con l’intento di ferire.
Angela Guardascione