Tra leggenda e realtà: i ruderi di Sant’ Elia e il suo abitante dimenticato
Quella che sto per raccontare è una leggenda che affonda le sue radici nella notte dei tempi.
La storia echeggia tra le strette viuzze mormoranti e nelle piazzette desolate di un paesino sconosciuto, scritta nella mente di pochi.
È il fantasma di un ricordo che prende forma solo attraverso l’antico mezzo della voce.
Quello che rimane della leggenda è un eco che si esaurisce poco a poco tra le montagne che incorniciano Acquarola, una piccola frazione di Mercato San Severino, in provincia di Salerno, in cui risiedono circa 677 abitanti
Il nome deriva dalla parola acqua: sarà per la sua forma che, vista dall’alto, ricorda un imbuto o, ancora, per una miracolosa vicenda che vede protagonista Sant’Alfonso.
Era il 1740.
L’estate calda inaridiva le campagne e impallidiva gli alberi. Acquarola e l’intera frazione sanseverinese furono colpite da una grave siccità. Il popolo decise di far ricorso alle forze divine, invitando Alfonso, vescovo cattolico, per risolvere il problema.
Il religioso garantì che in uno specifico giorno d’estate, un’abbondante pioggia avrebbe colpito tutta la frazione e quanto profetizzato dal Santo accadde per davvero: nel giorno predetto, una nube comparve sopra Salerno. Addirittura si dice che la pioggia cadde giù per cinque ore di fila!
Ma la leggenda che sembra essere caduta nell’oblio non ha nulla a che vedere con Santi e miracoli.
A pochi passi dal paesino, sulla collina detta Sant’Elia, dominava maestoso un convento. Oggi della struttura non restano che dei ruderi purtroppo abbandonati a se stessi e all’intemperie: il ritratto esatto della sua storia, scorie di un passato destinato a svanire.
Il convento apparteneva ai padri Carmelitani, ordine sorto in Palestina nel XI secolo sul monte Carmelo. Successivamente, i monaci, raggiunsero l’Occidente dove una buona parte si stabilì. La collina prese il nome di Sant’ Elia perché i carmelitani si dedicavano alla preghiera e all’apostolato seguendo l’esempio del profeta Elia.
Si narra che i padri, durante un viaggio in Oriente, ricevettero in dono, da altri monaci, un serpente. Questi accettarono, probabilmente per non apparire scortesi e senza chiedersi il motivo di un regalo simile. I padri carmelitani fecero ritorno al convento e costruirono, per il nuovo arrivato, un luogo in cui potesse vivere indisturbato: una bella vasca.
Ma il serpente, si dice, non era piccolino.
Altra particolare caratteristica erano le tre corna che gli adornavano il capo come una corona: una per ogni cento anni di vita!
All’esistenza dell’antica creatura credevano in molti e quando i pastori, al mattino, contavano qualche pecora in meno nel proprio gregge, davano la colpa al serpente dalle tre corna che affamato, nelle ore di buio, lasciava il convento per cercare leccornie giù in paese.
In passato alcuni cittadini del posto hanno testimoniato di aver visto o in qualche modo percepito la presenza dell’inquietante creatura. Tra le poche e scarne testimonianze vi è una in particolare di parecchi anni fa, che vede come protagonista un giovanotto.
Alle prime luci dell’alba, insieme a degli amici, si era diretto alla collina di Sant’Elia, per raccogliere della legna. Prima di mettersi a lavoro i giovani fecero colazione: si accomodarono su di un tronco rovesciato a mo’ di panchina e consumarono la merenda mentre il cielo lentamente si tingeva di azzurro. Finita la colazione cominciarono a lavorare.
Verso sera, la combriccola esausta stava ripercorrendo la collina per fare rientro a casa. Scendendo si ritrovarono nello stesso luogo in cui avevano consumato la colazione, ed è proprio lì che notarono qualcosa di strano: il tronco su cui erano stati seduti, era sparito. Al suo posto, sul terriccio, vi era un solco che percorreva il fianco della collina e risaliva fino in cima, al convento.
Inutile dire che i poveretti credettero di aver scambiato per un robusto tronco rovesciato, il corpo del serpente e che le loro natiche avevano poggiato sulla squamosa pelle di un antico mostro in vita da ben 300 anni!
Chissà per quanti anni ancora la storia di questa simpatica creatura continuerà a vivere. Spero che possa spegnere le 400 candeline e vedersi comparire sulla punta della testa il suo quarto corno.
Disegno e didascalia di Enza Galiano
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