Exuvia, la fuga del Capa da Prisoner 709
Ottavo album del famoso rapper italiano Caparezza, Exuvia sale subito al primo posto nelle classifiche di ascolti, conquistando ancora una volta i fan per la profondità del messaggio che ci lascia.
Caparezza torna in scena con un ingresso trionfale il 7 maggio 2021 col suo ottavo album, Exuvia.
Perché, innanzitutto, questo titolo?
Per citare le parole che il rapper ha condiviso con i suoi fan sui social, «L’exuvia, in sintesi, è ciò che rimane del corpo di alcuni insetti dopo aver sviluppato un cambiamento formale. Un calco perfetto, talmente preciso nei dettagli da sembrare una scultura, una specie di custodia trasparente che un tempo ospitava la vita e che ora se ne sta lì, immobile, simulacro di una fase ormai superata.»
Il motivo per cui Capa ha scelto questo titolo particolare è spiegato chiaramente, senza enigmaticità né vaghezza, dal rapper in persona, che spiega come per lui quest’album sia un processo di liberazione da una condizione passata di prigionia, rappresentata – appunto – dal suo album precedente Prisoner 709.
Immergiamoci, dunque, in questo album che è un vero e proprio viaggio attraverso il processo di liberazione da un passato che non va più bene.
Qual è il modo migliore per liberarsi dal passato se non proprio quello di partire dal passato per poi sotterrarlo per sempre?
La canzone che apre l’album, infatti, ci parla già dal titolo: Canthology. È un titolo costruito con la figura della crasi, ovvero l’unione di più termini, in questo caso “canzone” e “anthology” oppure ancora “Caparezza” e “anthology”.
È, quindi, un’antologia dei suoi brani e, in particolare, vengono citati i titoli di molti suoi pezzi storici. Stavolta, però, il senso di questi suoi pezzi viene ribaltato, quasi come se il Capa fosse alla ricerca di un vero e proprio rinnovamento.
Un esempio di questo processo psicologico è dato dalla frase “questo toro tifa il matador e gli lecca tutto il retto”: chiaro riferimento alla sua famosissima canzone “Dalla parte del toro” (dall’album Habemus Capa del 2006), ribaltandone, però, il significato.
Se nella canzone originale, infatti, il toro sconfigge il matador, ribellandosi alla sua supremazia, qui invece il toro resta dalla parte del matador e, anzi, fa persino il tifo per lui… leccandogli il retto.
Ascoltare questo brano, insomma, diventa un vero e proprio viaggio mentale attraverso tutto il passato di Caparezza. Il modo in cui è riuscito ad inserire tutto il suo percorso in una sola canzone è magistrale, ma è soprattutto impressionante come sia riuscito ad armonizzare il tutto in un unico testo che parla di un riscatto, di un superamento.
È dalla seconda canzone, però, che ha inizio la vera e propria fuga del rapper. Fugadà, infatti, parla chiaro fin dalla prima strofa, senza mezzi termini né giochi di parole.
“In fuga dal mio disco precedente”, dice il Capa, cristallino come l’aria. Impossibile fraintenderlo, dunque.
È in fuga dal suo passato, da un disco la cui copertina raffigura proprio un Caparezza dietro le sbarre e stavolta il rapper non vuole giocare con le parole: è diretto, perché per fuggire dal suo passato ha bisogno di accettarlo e di raccontarlo senza troppi giri di parole.
Ha bisogno di immediatezza, di schiettezza… e di riscatto.
Durante il ritornello Capa dice: “Non mi serve la cartina, fumala” e qui il rapper si riferisce ad una cartina geografica che, per il tipo di viaggio che sta per compiere, gli è del tutto inutile. Si tratta di un viaggio interiore, senza una vera e propria meta.
In El sendero Caparezza cerca – appunto – el sendero, la strada da intraprendere per iniziare una nuova vita, libero dall’enorme peso del passato.
Questa canzone, però, è di fondamentale importanza perché Capa non parla solo della strada che sta cercando di intraprendere lui, ma parla anche delle strade intraprese da alcuni membri della sua famiglia, tra cui il padre.
“Cammina mio padre, che ha perso suo padre. E vaga da solo, ed è solo un ragazzo che impara a indossare le scarpe da uomo e cammina lungo un sentiero di sogni infranti”
Il padre di Capa, infatti, sognava di diventare cantautore, ma poi, a causa della morte di suo padre – il nonno del rapper – ha dovuto abbandonare i suoi sogni per prendersi cura della sua famiglia.
Tutte le canzoni di questo album ci offrono un tassello per costruire quella che è stata la vita di Capa e quella che sarà la sua vita futura, totalmente deprivata del suo passato opprimente e, soprattutto, della figura di Mikimix, quello che nei ’90 ha partecipato a Sanremo. Lo stesso di cui Michele Salvemini, diventato Caparezza a partire dagli anni Zero, cerca di liberarsi senza sosta.
Lo vuole far morire, eppure, in un modo o nell’altro, rivive in tutti i suoi album. Persino in questo, nella canzone Campione dei Novanta, in cui dice chiaramente “Dio benedica gli anni Zero” proprio perché sono questi gli anni in cui Michele Salvemini smette di essere Mikimix e comincia ad essere Caparezza.
Eppure sembra proprio incapace di liberarsi di Mikimix.
Inutile dire che, come suo consueto, anche in quest’album Caparezza mescola un enorme bagaglio di cultura, generi musicali, storia, arte, letteratura, tradizioni, sport, facendo combaciare e convivere il tutto in un’armonia e in una naturalezza che sembrano quasi surreali.
Ma su questo Capa non ci deluderà mai: è lui il maestro per eccellenza del rap italiano, quello serio che ha ancora tanto da dire… e lo fa con classe.
Azzera Pace, o meglio, se letto al contrario è Caparezza. Chiamatelo campione!
Anna Illiano
Vedi anche: Exuvia