Pinocchio, sei davvero tu? Le avventure di un “burattino” a Villa Doria Pamphilj
La storia della famosa marionetta che aspirava a diventare un bambino vero la conosciamo bene.
Cosa abbia ispirato il genio di Carlo Lorenzini, in arte Collodi, non ci è però dato saperlo.
Eppure, forse le tracce di Pinocchio possono essere in qualche modo ripercorse partendo 2000 anni prima la pubblicazione dell’opera, da una necropoli nel cuore di Roma.
La nostra avventura – nostra quanto quella di Pinocchio – comincia a Villa Doria Pamphilj, una tenuta di 184 ettari del XVII secolo, più precisamente nel cimitero adiacente la Via Aurelia, la quale, in epoca augustea, era disseminata da tombe meravigliosamente decorate, andate per la maggior parte distrutte dal 1660 in poi per ricavarne materiale da riutilizzare in altri progetti commissionati dalla famiglia Pamphilj, acquirente del terreno.
Fra il 1820 ed il 1830, due colombari (ambienti sepolcrali utilizzati per la conservazione delle ceneri) vennero scoperti e, per tutelarne la manutenzione, col tempo i loro affreschi furono spostati in strutture museali, lasciando spoglie le pareti.
Ma è nel 1984 che viene riscoperto un piccolo scrigno, un colombario dalla capienza di 500 loculi, del quale sono superstiti solo tre stanze presenti al piano inferiore, sottoterra.
Quello superiore, posto sulla strada, è andato disgraziatamente distrutto nel piano edilizio del XVII secolo.
Ciò non toglie però fascino al colombario.
Il mosaico sul pavimento della sala principale, più grande rispetto alle altre due, riporta il nome di Scribonio Menofilo, un liberto che avrebbe contribuito quasi sicuramente alla costruzione dell’ambiente.
Sull’intonaco bianco, fra le nicchie, si stagliano figure animali e vegetali, ghirlande decorative ed addirittura persone intente a danzare o a raccontare, con i loro gesti, leggende della tradizione romana.
Fra queste, eccolo lì, il nostro “Pinocchio”.
Una figuretta smilza, con naso pronunciato e cappello a punta ed in mano una bacchetta biforcuta, oggetto simile a quello usato dai rabdomanti per scovare acqua e metalli preziosi nel terreno.
Rappresentazione del mestiere di uno dei defunti?
La mente vaga, ma, per quanto sia bello viaggiare con la fantasia, la funzionalità di quel particolare arnese non è assolutamente data per certa.
Addirittura, alcuni studiosi hanno ipotizzato potesse trattarsi di un ballerino con una maschera teatrale in viso, tipico costume di commedie e tragedie, che andrebbe a giustificare il profilo importante e particolare del personaggio.
E allora, come collegare il Pinocchio di Collodi ad un danzatore dell’età augustea, cosa c’entrano l’uno con l’altro?
La verità, purtroppo, per il momento resta celata.
In molti hanno notato la somiglianza, i caratteri ridondanti che da sempre hanno accompagnato le trasposizioni cinematografiche del racconto.
Eppure, anche se la sua silhouette avesse ispirato le fattezze della marionetta tanto amata da grandi e piccini, i conti non tornerebbero.
Facciamo due calcoli.
Carlo Collodi è un autore del XIX secolo, morto per la precisione nel 1890. “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” è stato pubblicato nel 1883. Nonostante non si possa escludere che l’autore abbia compiuto viaggi a Roma e forse anche visitato i colombari, bisogna ricordare che quello riportante l’affresco incriminato è stato rivenuto un secolo dopo, nel 1984.
Forse Collodi avrà visitato gli altri due ambienti sepolcrali.
Forse, al tempo, su quelle pareti persisteva ancora l’intonaco e, sempre forse, qualche immagine poteva essere simile a quella del Colombario di Scribonio Menofilo.
Forse. Potrebbe.
Ma di “forse” certamente non si può vivere.
Per ora, quella del Pinocchio romano resta una bella leggenda alla quale ci si può appellare pour parler.
Forse, però. Non è mai detta l’ultima parola.
Ilaria Aversa
Vedi anche: Vita semper vincit: La poetica del dettaglio nelle opere di Marcello Aversa