Sono una fata, non sono una santa: da guardiana dei boschi a demone in gonnella
Figura dalle molteplici facce, che nel corso dei secoli ha vissuto varie incarnazioni, la fata non è un semplice prodotto della mitologia, ma un vero e proprio riflesso dell’evoluzione sociale della figura femminile, demonizzata con l’avvento del cristianesimo e recuperata molto più tardi nella materia fiabesca.
Cosa sono esattamente le fate?
Stando alle più antiche tradizioni popolari, le fate sono creature bellissime, di aspetto mutevole, che vivono a stretto contatto con la natura e ne sono le guardiane. Ammiratrici della musica e della danza, posseggono una grande magia, che usano a fin di bene per guarire i malati o favorire la creatività di artisti e artigiani.
La parola fata era usata in latino per indicare le Parche, custodi del fatum – il destino – di ogni essere umano. È innegabile la relazione tra le dee della sorte e le piccole creature incantate che nella letteratura vediamo spesso impegnate a filare, soprattutto in gruppi di tre, come le divinità romane. Come le Parche, le fate intervengono nelle questioni umane per portare aiuto a chi ne ha bisogno – a differenza delle fairies di tradizione celtica, che tendono a rifuggire gli esseri umani e, secondo molte leggende, a punire quelli che tentino di avvicinarle.
Nella sua incarnazione benigna, la fata ha assunto nei secoli diverse facce: si pensi alle Anguane, creature fluviali molto care alle popolazioni alpine, o all’amatissima Befana, che dato il suo aspetto sgradevole viene spesso considerata più strega che fata.
Altrettanto numerose sono le incarnazioni maligne della fata, come la leggendaria Morgana, signora di Avalon, e le Banshee, spiriti urlanti che possono essere uditi quando un parente è in punto di morte. Non è un caso che nel folclore sia le fairies che le fate posseggano caratteristiche animali: i piedi caprini come Lucifero, il signore degli Inferi, o la coda di pesce come le mitiche sirene, perfide creature dei mari che attiravano verso la riva i marinai con il loro canto per causarne la morte.
Ciò che colpisce è che queste creature malvagie siano in realtà nate come esseri positivi, dotati di una morale ineccepibile e di grande bontà d’animo.
Secondo Vladimir Propp, uno dei massimi studiosi del folclore, la figura della fata si ricollega al culto della Grande Madre e ai riti della fertilità: ci sono tante analogie tra la fata-maga e la dea Cibele, poiché entrambe sono signore degli animali e custodi del regno dei morti.
Fu con l’avvento del cristianesimo che le divinità pagane, soprattutto celtiche e bretoni, vennero screditate. Accendere fuochi sacri presso boschi, rocce e sorgenti divenne un sacrilegio; i rituali che non fu possibile eliminare vennero assorbiti e adattati ai nuovi riti della Chiesa.
Gli antichi luoghi di culto pagano si trasformarono in santuari della Madonna, che andò a sovrapporsi alla figura della Grande Madre, e gli oggetti magici divennero reliquie a tutti gli effetti, talvolta strumenti per identificare i pagani e il maligno.
Per screditare la religione pagana e le sue sacerdotesse, la Chiesa demonizzò le donne che praticavano la magia e da guardiane e benefattrici divennero, nei secoli a venire, streghe e adoratrici del demonio. Tuttavia non riuscirono mai a cancellarle del tutto. Qui in Italia sono presenti santuari di nascita pagana che hanno poi assunto connotazione cristiana, si pensi alla Nostra Signora dell’Acquasanta a Guitte, vicino Genova, e al più chiaro ex voto nella chiesa di San Martino di Schio.
Nella letteratura come nelle credenze popolari cinque-seicentesche, il confine tra fata e strega divenne molto sottile, e tante figure di natura benevola, come la sopracitata Morgana, che era in origine la protettrice di Avalon, sono divenute crudeli fattucchiere.
Soltanto a partire dal Settecento, con l’affermarsi di una letteratura per l’infanzia, la fata tornò ad assumere una connotazione positiva, che per secoli era andata deteriorandosi fin quasi a scomparire. Non più creatura egoista, che agisce solo per proprio tornaconto personale, ma emblema di bontà e rettitudine, portatrice di virtù e meraviglie, seppure con le dovute eccezioni.
Claudia Moschetti
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