Trafitti dal volume di Sound of Metal
Una musica assordante proveniente dai colpi di un batterista che squarcia i tamburi e gli spettatori, accompagna la voce distorta e gutturale, tutta diaframma e ruggito stonato di una giovane donna che domina la scena.
Prima c’è stato un grande rumore, poi il silenzio assoluto e una sorta di redenzione.
“Is the volume loud enough?”
Sound of Metal (2019), film d’esordio del regista Darius Marder, ha vinto due delle quattro nominations per cui era stato candidato agli Oscar. Le statuette portate a casa sono state quelle per “miglior montaggio” e “miglior sonoro”. Non poteva essere altrimenti per un film che ci chiede di metterci in ascolto.
Il protagonista della storia è Ruben Stone, interpretato da un tormentato Riz Ahmed, batterista che suona in giro per la scena indipendente, insieme alla sua compagna e cantante Lou Berger, l’attrice Olivia Cooke. Insieme formano il duo metal chiamato “BlackGammon”, e girano per il paese con un camper che è il loro rifugio, esibendosi in concerti assordanti e distorti come le loro vite passate. Ruben pian piano comincia a perdere l’udito fino a diventare sordo. Anche quel poco che gli era rimasto lo distrugge a ritmo di batteria e suoni sempre più duri e alti, lo spazza letteralmente via cercando allo stesso tempo di allontanare il pensiero di ciò che sta accadendo nelle sue orecchie. Non può accettare che proprio a lui stia accadendo questo. Entra a far parte di una comunità di sordomuti immersa in un uno spazio ben lontano da quello metropolitano e angusto col suo clangore e la sua frenesia. Qui imparerà, grazie alle esperienze e alle vicissitudini degli altri, che la sordità non è affatto un handicap, ma un nuovo modo di vivere attraverso il linguaggio dei segni e la quiete.
Guardando le lunghe sequenze che ripercorrono questo tragico evento, ma soprattutto cedendo le nostre orecchie all’ascolto dell’involuzione sonora, si ha quasi l’impressione che è parlarci di esso sia proprio il suono in quanto tale, nella sua purezza elementare e nel suo tragitto di trasformazioni dettate dagli eventi. Che cosa siamo noi uomini rispetto a esso? Casse e ripetitori. Siamo registratori di ogni guizzo percepito. Se non ci fossimo noi, animali in ascolto, a chi toccherebbe percepire l’armonia, il frastuono tormentato degli atomi che sbattono e si ricongiungono formando la materia dell’Universo? Questa pellicola è un viaggio dal noise assordante, all’ovattato acuirsi dei suoni, passando per i fischi sibilanti che squarciano i pensieri di chi è costretto a stare da solo con essi. Alla fine, ci viene restituito formalmente e tragicamente la parabola più triste per chi ha fatto della musica la propria vocazione. Questo paradigma del suono passa attraverso le orecchie e la cassa di risonanza di Ruben, prende strade diverse e soluzioni insperate per farci percepire ogni singolo silenzio e ogni tormento dipinto attraverso gli occhi ruvidi e marroni di uno sguardo incredulo rispetto all’evento che ha sconvolto una vita già turbolenta. Mentre i rumori del mondo diventano sempre più asfissianti, Ruben compie la sua scelta, o almeno così sembra.
Maria Cristiana Grimaldi
Vedi anche: L’eredità di Kentaro Miura, padre di Berserk