Un insolito menage a trois: D’Annunzio, Chopin e Wagner
Molti letterati hanno preso ispirazione dalla più nobile delle arti – la musica – tra questi vi è Gabriele D’Annunzio.
La letteratura e la musica hanno sempre comunicato tra loro: imitandosi, sostituendosi, emulandosi vicendevolmente.
D’Annunzio ha particolarmente utilizzato la musica come mezzo di comunicazione.
Le sue opere sono ricche di immagini e suggestioni musicali, ne abbiamo un primo esempio nella poesia L’Onda, dove la musicalizzazione della letteratura avviene attraverso la metafora.
La parola cerca di farsi musica connettendo i significati ai significanti; in una rete di ritmi e di suoni che quasi dissolvono il significato.
Nella poesia troviamo una serie di parole riconducibili alla musica – come sonora, accorda, melodie – ma come analogia e metafora, quindi lasciate all’interpretazione del lettore.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d’iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella, numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
D’Annunzio è l’esempio di come la musica dialoghi anche con la narrativa, lo vediamo nel Trionfo della morte che, secondo i criteri di analisi, descrive un «canto religioso» con un linguaggio specialistico ricco di dettagli tecnici e termini musicali.
Il Vate si ispirò particolarmente alla musica di Chopin e Wagner.
Infatti, nel Trionfo, cita il preludio op. 28 n. 15 di Chopin.
Sentendo il preludio in re maggiore – diviso in due sezioni: una lirica e l’altra drammatica – ci accorgiamo subito che, nella prima parte il tema suonato dalla mano destra è accompagnato dal continuo ribattere della stessa nota (la) della mano sinistra.
Nella seconda parte, caricandosi di enfasi drammatica, la ripetizione della stessa nota diviene più incalzante attraverso un crescendo che culmina in un fortissimo e in uno sforzato.
D’Annunzio cerca di riprodurre il testo musicale e l’effetto dato dal continuo risuonare della stessa nota.
L’autore ripete parole e immagini in un particolarissimo gioco letterario che simula la goccia che cade e che risuona nella notte.
Ma l’autore ha come punto di riferimento soprattutto la musica di Wagner, non a caso interpreta la sua opera con il riadattamento del Tristano e Isotta, a cui è dedicato il sesto libro del Trionfo.
Lo scrittore trascrive il libretto d’opera arricchendolo di contenuti e suggestioni narrative. Il testo del libretto wagneriano viene così ampliato da commenti che spiegano e ambientano le azioni e le ambientazioni, i fatti e le dinamiche emotive dei personaggi. Come la voce ironica e ammonitrice del giovane marinaio che si sta rivolgendo ad a Isotta.
D’Annunzio lo interpreta come «l’ammonimento, l’annunzio profetico della vedetta, allegro e minaccioso, carezzevole e beffardo, indefinibile».
Il poeta – in fondo – ci permette di capire come la musica sia stata per la letteratura linfa vitale, tanto quanto la letteratura lo è stata per la musi a.
«Riccardo Wagner […] ha rivelato a noi stessi la parte più occulta di nostra intima vita. Ciascuno di noi, come Tristano nell’udire l’antica melodia modulata dal pastore, deve alla virtù misteriosa della grande musica la rivelazione diretta di un’angoscia nella quale ha creduto di sorprendere l’essenza vera della sua propria anima e il segreto terribile del Destino».
Gabriele D’Annunzio
Federica Auricchio
Vedi anche: “Le scarpe del flâneur” una poesia d’amore alla poesia