“Veleno” e “Il sospetto”: due modi di raccontare l’innocenza
La cronaca nella nuova serie Amazon e la finzione nel film di Vinterberg richiamano la nostra attenzione sui processi mediatici e sociali che spesso coinvolgono anche chi non ha colpe.
La docu – serie Veleno, disponibile sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video dal 25 maggio, racconta in cinque episodi i cosiddetti “Diavoli della Bassa modenese”, una presunta setta che avrebbe operato abusi su 16 minori tra il 1997 ed il 1998 nel nord Italia.
A partire dal podcast dei giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli “Il paese dei bambini perduti”, viene pubblicato nel 2019 il libro “Veleno. Una storia vera”, che grazie al successo ottenuto è diventato adesso una serie. Nelle puntate sono stati ripercorsi i processi e le testimonianze inedite di alcuni dei bambini – ormai adulti – che vent’anni fa hanno denunciato gli abusi.
Nei primi episodi l’utilizzo di immagini d’archivio, video e interviste fatte ai genitori e agli psicologi portano lo spettatore ad uno stato di spaesamento: chi è il colpevole? Gli assistenti sociali, che hanno sottratto per sempre i bambini alle loro famiglie, o i genitori, accusati di violenze e omicidi dai loro stessi figli?
Alla fine dei cinque processi i giudici scagionano tutte le persone coinvolte. Si pensa, infatti, a scapito della credenza comune secondo cui i bambini dicono sempre la verità, che sia stata generata confusione durante gli interrogatori, tanto da creare nei pazienti dei falsi ricordi attraverso la tecnica dello “svelamento progressivo”.
Ed è ciò che sembra accadere anche nel film Il sospetto (“Jagten”), di Thomas Vinterberg, con protagonista l’attore Mads Mikkelsen, vincitore a Cannes nel 2012 per la sua interpretazione. Una bambina accusa di molestie un amico del padre: da questa bugia partirà il declino dell’uomo che, lavorando in un asilo, viene subito allontanato e licenziato.
Solo lo spettatore è a conoscenza dell’innocenza del protagonista, mentre la bambina che lo aveva accusato ripete di non ricordare più cosa sia vero e cosa no.
Nemmeno l’assoluzione per mancanza di prove salverà l’immagine che gli altri hanno ormai del presunto pedofilo. Fino alla fine del film, il protagonista continuerà a sentirsi perseguitato e minacciato dalle persone che lo conoscevano da una vita, accecate da una folle “caccia” all’uomo, annebbiati continuamente dall’alone del sospetto.
Sia in Veleno che nel film di Vinterberg si assiste alla sconfitta degli accusati, privati di qualsiasi credibilità e ridotti a reietti nelle comunità in cui vivono. Ciò che più colpisce, in entrambi i casi, è la sordità, la cecità degli altri di fronte all’innocenza: si preferisce credere ad una bugia piuttosto che cercare la verità.
Infatti, le parole pronunciate dai bambini sembrano essere state generate da un altro tipo di violenza: quello della “terapia di memoria repressa” (RTM), che secondo alcuni psicologi potrebbe involontariamente suggerire ricordi di abusi ai propri pazienti. I falsi ricordi collettivi, sia dei bambini della Bassa Modenese che di quelli dell’asilo nella finzione del film Il sospetto, rappresentano una deformazione nella memoria dei minori, non ancora pienamente formata, e sulla quale hanno agito gli adulti.
L’indagine giornalistica di Pablo Trincia ridà una voce agli accusati. È uno di quei casi in cui l’attenzione dei media sembra aver avuto dei risvolti positivi: alcuni degli ex-bambini, ascoltando il podcast, si sono riconosciuti nelle sue parole e hanno deciso di riabbracciare le loro famiglie, dopo anni di lontananza e silenzi.
Tuttavia, alla fine della serie, alcune controversie sul caso sembra non lascino spazio ad un lieto fine. Non resta altro che un senso di sconfitta di fronte al dramma delle vite stravolte di genitori e figli, che non potranno mai più recuperare il tempo perduto.
Elena Di Girolamo
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