Alzheimer’s disease attraverso l’arte di William Utermohlen
I meccanismi biologici alla base dell’attività cerebrale umana risultano un enigma parzialmente insoluto, tuttora al centro del dibattito nelle neuroscienze moderne.
La ricerca scientifica si pone l’obiettivo di progredire nella decifrazione della fitta rete che regola la trasmissione dell’impulso nervoso al fine di porre rimedio sia a malattie neurodegenerative che a disturbi psichiatrici.
William Utermohlen muore nel 2007, lasciandoci una testimonianza diretta d’arte visiva del declino cognitivo causato dal morbo di Alzheimer.
Quasi più di un secolo ci distanzia dalle scoperte di Camillo Golgi, Alan Hodgkin, Andrew Huxley, Otto Loewi, David Hubel, Torsten Wiesel, Eric Kandel che hanno permesso all’uomo di cogliere i meccanismi fisiologici funzionali alla regolazione dei processi cognitivi, eppure le conoscenze raggiunte ad oggi in campo scientifico non consentono ancora di giungere ad una spiegazione eziologica definitiva a malattie neurodegenerative invalidanti, quale il morbo di Alzheimer.
Solo dinanzi all’insorgenza di danni neurologici di tale entità diveniamo forse consapevoli della complessità anatomica della foresta neuronale. Solo mediante la perdita delle facoltà intellettive – esclusiva caratteristica contraddistintiva dell’essere umano dalle ulteriori forme di vita senzienti – riusciamo a penetrare la rilevanza dell’intricata architettura sinaptica alla quale sottende la nostra intera natura biologica.
William Utermohlen si presenta come testimone diretto della progressione del morbo di Alzheimer, lasciandoci in eredità il frutto di un prodotto artistico senza tempo. La percezione distorta delle dimensioni spazio-temporali da parte dell’uomo comincia già a manifestarsi a seguito della diagnosi avvenuta nel 1995, dando segni evidenti in Conversation Pieces, serie di opere del 1991 rappresentative della componente amicale, del focolare domestico e del rapporto coniugale intrattenuto con la storica dell’arte Patricia Redmond.
Quando sarà costretto alla degenza presso l’ospedale nazionale di neurologia e neurochirurgia a Queen Square, Utermohlen verrà sottoposto ad una prassi spesso affiancata alla cura farmacologica, l’Arte Terapia. Tale sollecitazione darà vita alla trasposizione inconscia su carta del proprio estro artistico mai sopito, neanche nella propria lotta contro il deterioramento delle facoltà cognitive.
Osservando gli autoritratti in successione, possiamo notare in parallelo alla perdita della capacità intellettiva, la graduale diminuzione della resa cromatica che aveva caratterizzato la tecnica pittorica dell’artista nel corso di tutta la sua carriera. L’ultima effigie di sé, nella quale persino la fisionomia del volto risulta indistinta, presenta una macchia quasi impercettibile di caffè, bevanda onnipresente nell’operato dell’artista.
Il tratto marcato si risolve con la progressione temporale in una giustapposizione di linee essenziali a matita, che rimandano all’immagine di uno schizzo preparatorio, oramai non più funzionale a un intento progettuale, bensì espressione dell’ineluttabilità di quel sottile intreccio tra vita e morte che caratterizza la precarietà umana.
William Utermohlen morirà all’ospedale di Hammersmith a Londra il 21 marzo 2007, dopo aver trascorso l’ultima fase della sua vita presso la casa di cura Princess Louise.
Denise Bossis
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