Goliarda Sapienza, una scrittrice da difendere
La voce di Goliarda Sapienza è tra le più sorprendenti della letteratura del Novecento italiano e anche, purtroppo, tra le meno conosciute.
Goliarda Sapienza nasce nel 1924 a Catania. Studia all’Accademia nazionale di arte drammatica di Roma e per un periodo intraprende la carriera di attrice teatrale. Inizia a dedicarsi alla scrittura relativamente tardi. Il suo primo romanzo, Lettera aperta, è del 1967, seguito da Il filo di mezzogiorno nel 1969.
In vita non ebbe mai fortuna come scrittrice, come testimonia la storia editoriale del romanzo L’arte della gioia. Infatti, giudicato immorale, fu accolto malissimo dagli editori che rifiutarono di pubblicarlo. Solo nel 1998, vent’anni dopo la prima stesura e tre dopo la morte di Goliarda, il marito Angelo Pellegrino lo pubblicò a sue spese. Ma passeranno ancora altri anni prima di ottenere consenso da parte del pubblico. Solo la fortuna che il romanzo ha riscontrato all’estero negli ultimi anni, soprattutto in Francia e in Germania, ha permesso di riconoscerne il valore anche in Italia.
Ma non sorprende, in realtà, che L’arte della gioia abbia riscosso successo così tardi. La protagonista, Modesta, è una donna ambigua, un personaggio scomodo per l’Italia degli anni Settanta. È una donna che non ha morale, indipendente e forte, che vive la propria sessualità in maniera libera, che non ha paura di sporcarsi le mani per ottenere ciò che desidera ed è totalmente incurante delle convenzioni sociali.
L’arte della gioia non è un romanzo autobiografico, ma non è difficile trovare somiglianze tra la vita dell’autrice e la protagonista: l’ambientazione siciliana, le relazioni non convenzionali, l’orientamento politico. In particolare, ritorna un luogo molto caro a Goliarda: il carcere, in cui Modesta passa dei mesi dopo essere stata arrestata dai fascisti.
Anche Goliarda nel 1980 aveva trascorso due mesi in carcere aver rubato dei gioielli a un’amica (da questa esperienza nacque anche il romanzo l’università di Rebibbia; 1983).
In un’intervista, Goliarda racconta non solo di aver desiderato andare in carcere, ma anche di aver goduto della sua permanenza lì. La sua scrittura è rinata a contatto con l’ambiente carcerario: prima “troppo accademica”, diviene più viva e aderente alla realtà.
Inoltre, Goliarda era rimasta profondamente affascinata dal tipo di società che aveva trovato in carcere. Lì si sentiva apprezzata e riconosciuta come scrittrice, molto più che dall’ambiente intellettuale esterno. Il carcere, racconta Goliarda in un’altra intervista, è come un villaggio. Lì “il talento viene riconosciuto”.
Tocca a noi, adesso, riconoscere quel talento che per tanti anni è stato ignorato.
“Goliarda diceva sempre che i morti hanno torto se dopo la loro morte non c’è nessuno che li difenda”, scrive Angelo Pellegrino nel Ritratto di Goliarda Sapienza, in appendice all’edizione Einaudi de L’arte della gioia. È solo grazie alla sua tenacia e al suo amore che abbiamo la possibilità di leggere un romanzo eccezionale come questo, ed è un’opportunità che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire.
Nadia Rosato
Fonti: Goliarda Sapienza, L’arte della gioia, Torino, Einaudi, 2015.