L’universo in una stanza: il fenomeno Hikikomori in Youtopia
Un giro di valzer su Youtopia, un’apnea nei torbidi meandri del Deep Web.
Berardo Carboni ci racconta col suo film una tragedia felice in bilico tra un angoscioso baratro di debiti e un micro idillio in 3D.
Lo stesso in cui precipitano gli Hikikomori, i giovani autoreclusi di questa generazione online…
Una giovinezza sul lastrico, quella di Matilde (Matilda De Angelis), protagonista della pellicola di Berardo Carboni che per tenersi stretta la casa – presto messa all’asta – e il suo piccolo universo virtuale racchiuso tra gli angoli di cemento della sua stanza, sacrifica la sua verginità vendendola online al miglior offerente, un cicerone del sesso senza volto pronto a ricompensarla (interpretato da Alessandro Haber).
C’è violenza sul suo corpo, ridotto a un pezzo di carne da masticare avidamente davanti all’occhio meccanico di una webcam. Si legge dolore in quella disinvoltura forzata di ragazzina cresciuta troppo in fretta, in quegli sguardi ammiccanti che raccontano solo disperazione. Ma Matilde è un’eroina malinconica, una paladina di necessità aberranti – ma pur sempre necessarie – che dal suo torbido inferno riesce a ritagliarsi una finestra virtuale sul mondo, una prospettiva nuova in cui sperimentare un sistema di valori paralleli e rigeneranti.
È infatti attraverso Landing, un videogioco immersivo tra galassie da conquistare, che la diciottenne dagli occhi blu sopravvive a una gioventù troppo presto strappata alla frivolezza, rifugiandosi nell’amore platonico per un avatar che riaccende il suo sguardo cupo, la sua anima in scala di grigi. Quello schermo luminoso diventa così You-Topia, un prolungamento fisico della sua immaginazione in cui dispiegare i suoi desideri, spogliarsi della sua precarietà emotiva e cucirsi addosso una muta di illusioni variopinte.
Un’oasi felice dove lo squallore della miseria sembra sbiadire in un lontano ricordo e dove le catastrofi diventano cosa lieve.
Ma quanto è realmente benefico evadere dal disagio, dal senso di inadeguatezza e dal trauma del reale attraverso un’esperienza attraente e fittizia? Può davvero esser terapeutico trovare conforto nelle parole di un simulacro evanescente, con cui condividere un’intimità immaginaria?
La storia di Carboni è un viaggio tridimensionale tra le ferite di una ragazza di cristallo, così fragile eppure così impenetrabile, continuamente esposta, scoperta, con i nervi a fior di pelle, nuda nella sua vulnerabilità camuffata. Uno spettacolo di sdoppiamento del reale, di cui Matilde, cuffie colorate che incorniciano il viso e sguardo assorto nello schermo, è attrice protagonista e regista.
Spettacolo che assomiglia tanto al film psicotico in cui finiscono intrappolati gli Hikikomori (dal giapponese “stare in disparte”), adolescenti che rifiutano ogni forma di contatto col reale poiché divorati dalle pressioni sociali.
Un fenomeno che in Giappone registra oltre 500.000 casi, nato negli anni ottanta e diventato ormai tendenza anche in Europa, in un momento storico scandito da una competizione ed una cultura dell’infallibilità che porta i giovani tra i 15 e i 30 anni a condannarsi ad un’ autoreclusione claustrofobica per mesi ed anni. Incastrati tra le certezze di mura salde, nel tentativo di dilatarne i contorni e riempirne il silenzio attraverso il mezzo del web.
Da qui la percezione falsata del reale, di emozioni e rapporti che vengono continuamente alterati dal filtro di uno schermo, proprio come accade alla nostra Matilde, rapita dall’immagine vacua e ineffabile di un amore utopico, una visione idealizzata che di tangibile ha solo una voce metallica.
Ma l’alienazione auto-inflitta può avere risvolti inaspettati: la nostra Hikikomori Matilde, Cenerentola del Deep Web dal romantico coraggio di adulta-bambina, ci insegna che nel vuoto di una cronaca borghese desolante, fatta di merce e soldi e umiliazione, educare lo sguardo all’incanto della fantascienza può salvare.
Abbandonarsi all’amore in una sala da ballo che fluttua sull’acqua, in un planetoide sospeso nel nulla, imprigionato nella scatola di un pc, può redimere un mondo svuotato di senso ed essere You-Topia, cucita su misura dei propri sentimenti.
In un epilogo funesto, una nuova luminosa consapevolezza: “Non voglio più fuggire. Voglio guardarti negli occhi”.
Francesca Eboli
Vedi anche: L’umanità dei distributori automatici in Giappone: RoadsLights di Eiji Ohashi