Sergio Del Prete ci presenta il suo Sconosciuto. In attesa di rinascita
Sconosciuto. In attesa di rinascita è il testo di lanzettiana ispirazione proposto da Sergio Del Prete al Campania teatro Festival nella sezione osservatorio.
Una scena nera, quasi buia, illuminata da poche e sapienti luci (Carmine De Mizio). Sergio Del Prete, autore, regista e unico interprete di questo testo, è un uomo, fratello di un figlio mai nato, figlio di un padre odiato, di una madre amata.
Tutto ha inizio il 3 agosto di un anno da dimenticare. Quest’uomo apprende, per caso, che la sua stessa esistenza è un caso. È nato perché suo fratello non è venuto al mondo, è nato perché figlio voluto dopo un figlio non voluto.
Da qui, dal peso di questa verità appresa con la stessa sofferenza di un Edipo, quest’uomo non potrà più vivere la sua esistenza alla stesso modo. La sua esistenza è un’esistenza casuale, una vita che poteva non essere vissuta, che poteva essere quella di un altro: la vita di un fratello mai nato.
Ci sono perché tu non ci sei stato? Ci sono perché mi avete voluto?
Da questa verità in poi la vita non può essere più la stessa, i rapporti, i sentimenti, l’amore non possono che uscirne modificati, irrimediabilmente lacerati. Dopo l’aborto la sua famiglia sarà una madre martire del suo ruolo, schiava dei suoi doveri; un padre mai così odioso, mai così odiato; un fratello sconosciuto che impone la sua assenza, che condanna chi vive alla solitudine, alla mancanza, al bisogno.
Eppure, nonostante l’assenza, tra fratelli tra di loro sconosciuti può generarsi un legame, una comunicazione, un rapporto conflittuale, complesso, ambiguo, eppure fraterno. Un dialogo fitto lega quest’uomo al fratello mai nato, colpevole proprio di non essere nato, di aver ceduto a lui la vita.
Io potevo non esistere, potevo non nascere. Dove sarei stato? I miei pensieri, dove sarebbero stati?
Una vita fatta di insoddisfazioni, rabbie, paure, di bisogno di essere accettati, accolti, amati. Questo coacervo di timori, desideri e mancanze generano un inspiegabile e indomabile rancore, rancore che il protagonista non riesce a non riversare su quella vita spenta, quella vita che poteva essere e non è stata. È questo il continuo e perverso legame tra vita e non vita, tra vita e morte, su cui Sergio Del Prete gioca per l’intera durata di un testo duro, aspro, forte.
In questo rancore la sola luce è negli amori a pagamento di un centro massaggi. Qui Marta, donna, madre e moglie infelice lo accoglie nei suoi abbracci, lo ama, gli insegna, volendogli bene, come volersi bene.
Sullo sfondo di una storia di aridità e sofferenza – che solo a tratti trova uno spiraglio nel desiderio di rinascita – prepotente e asfissiante campeggia la periferia. Solo chi viene dalla periferia può riconoscerne i tratti inconfondibili: la rigidità soffocante dei ruoli, l’ancestrale arretratezza dei rapporti uomo- donna, i preconcetti, le aspettative mutilate, i desideri che si devono rimpicciolire per adattarsi ad orizzonte così stretto.
Bisognerebbe avere il coraggio dei ragazzi che si lanciano dagli scogli per tuffarsi ed essere accolti…
Eppure, persino in orizzonti così striminziti, in una dimensione così mortificante come può essere una famiglia spaccata o una periferia desolata, a volte si riesce a trovare il coraggio di saltare, di tuffarsi ed essere accolti. Anche qui si può essere in attesa di rinascita.
Valentina Siano
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