Daniele Fabbri e la satira anti-censura, le parole del comico
Daniele Fabbri è comico, sceneggiatore e fumettista.
Per “Ceci n’est pas un blasphème”, il Festival delle arti per la libertà di espressione e contro le leggi anti-blasfemia, Daniele è direttore artistico della rassegna di satira teatrale e stand-up comedy.
L’ho incontrato al Lanificio 25 e abbiamo fatto due chiacchere prima dello show.
Daniele, nel tuo ultimo post Instagram scrivi che “la satira è contro il potere”. Quanto è importante la satira? Quanto serve?
«Allora, la satira fa parte dell’immaginario, fa parte dell’arte, fa parte della poetica, e l’arte e la poetica servono a costruire la forma mentis e le emozioni delle persone, quindi è chiaro che sì, serve. Poi, la satira pragmaticamente non serve a niente, nel senso che la satira non ha mai cambiato una legge direttamente. La satira si occupa di un immaginario libero perché va contro il potere e se la libertà non te la sai immaginare, non la sai neanche chiedere: un popolo che non sa immaginare la propria libertà non sa neanche ottenerla. La satira, attraverso la derisione del potere, contribuisce a far immaginare a un popolo come è contrastare quel potere, come è essere liberi da quel potere. In questo la satira è importantissima».
Pensi che in Italia, in questo momento, ci sia un problema di libertà di espressione, che ha a che fare anche con le leggi contro la blasfemia?
«In Italia abbiamo un problema di libertà di espressione su tantissimi fronti. Non voglio mettermi a parlare della questione, che va tanto di moda, del politicamente corretto sui social perché è una stronzata! Il problema del politicamente corretto in Italia non esiste».
Ok, ma ci devi spiegare perché.
«Certo, perché il problema dei social non è veramente il fatto che appena tu dici qualche cosa la gente ti si rivolta contro se hai sbagliato, perché questo non è impedirti di parlare. Tu puoi dire quello che vuoi, ti devi prendere responsabilità di quello che dici. Poi, il pubblico non ha il potere che invece hanno le istituzioni, che invece ha il Vaticano, che invece hanno le grosse aziende e via dicendo. Quindi, se io faccio una battuta sull’omosessualità e voglio essere offensivo per gli omosessuali e la comunità LGBTQI mi si rivolta contro, hanno ragione, perché io volevo essere offensivo! Se io non volevo essere offensivo, ma sono stato offensivo, sono ignorante perché non sapevo di star facendo una cosa offensiva e me lo merito che la gente mi si rivolti contro.
Però, essere travolto dai commenti negativi non è censura: censura è quando tu non puoi fare una cosa, non quando tu fai una cosa e la gente ti critica, quello è proprio un altro problema.
Per tornare alla legge sulla blasfemia, si tratta di una legge che certifica un super diritto a qualcuno, cioè una legge che dice ufficialmente “questa gente è più speciale degli altri e c’ha più tutele degli altri, quindi io non posso usare gli stessi principi democratici che uso con chiunque, verso queste persone”. Questo è un problema grosso».
Ti hanno mai censurato?
«Mi è capitato che alcune cose siano state tagliate da qualche sketch televisivo; è capitato che mi venissero negati degli spazi per fare la presentazione dei miei libri, dei miei fumetti; è capitato su un fumetto, che ho pubblicato, che uscissero proprio le pagine con le censure sopra. Sono successe un sacco di cose».
Quindi il problema c’è, è concreto. Voglio dire: la censura colpisce davvero tutti gli artisti.
«Colpisce tutti gli artisti e colpisce anche tutte le persone. Banalmente, nella vita di tutti i giorni, buona parte di noi bestemmia, così, in tranquillità, non è che bestemmi perché vuoi fa’ la guerra ma perché sono parolacce. Se tu cominci a vedere che escono film in cui si bestemmia, ci sono delle serie tv in cui si sente la gente che bestemmia, qualche volta succede in televisione o con i calciatori, e non si prendono questi provvedimenti feroci, ma semplicemente l’intrattenimento mostra quella che è la vita di tutti i giorni, cioè il fatto che quella cosa esiste e fondamentalmente è anche innocua; ecco, chi lo fa nella vita di tutti i giorni comincia a pensare “vabbè, allora sta cosa è normale”.
Finché quella cosa sui media viene censurata in maniera violenta, a chi nella vita di tutti i giorni ogni tanto scappa sente di aver fatto una cosa gravissima: questo è condizione la società».
L’ultima domanda, se ti va: un commento sui manifesti di Napoli e la questione che si è sollevata.
«Questa, appunto, è la dimostrazione forte di come il potere religioso sia insensato in questo paese e non sia democratico. Quei manifesti sono abusivi e non si sa chi li abbia messi: potrei essere stato io, per quanto ne sappiamo, me so’ stampato i poster e so’ andato ad incollarli. Incolpare un Festival di questa cosa, renderlo responsabile, perseguirlo e perseguitarlo è creargli dei problemi… perché poi, oggettivamente, quello è il punto: sono a rischio di sanzioni, qualche tipo di processo giudiziario che comporta investire dei soldi in avvocati, soldi che non ci sono perché il festival è autofinanziato; significa esercitare la propria prepotenza, anche quando la legge non ti dà ragione.
Cioè la legge dice “servono le prove”, io ti dico “io le prove non ce le ho, ma me la prendo con te lo stesso perché comando io”. La cosa che io ho scritto sui social è “prendersela con il Festival è come dare la colpa al Papa se un prete in provincia viene beccato a spacciare droga (che è una cosa che è successa veramente)”. Ora, quel prete se la vede penalmente, però è lui responsabile. Se io incolpo il Vaticano, perché quello era un prete e quindi “oh, c’entri pure te”, dal punto di vista del diritto giuridico non ha senso. Quando questa cosa si rivolge al contrario, quindi quando è il potere religioso che ti accusa, anche se a livello di diritto non c’ha senso, loro lo possono fare. Perché? Perché sì».
Mi sembra un buon modo per concludere. Grazie mille Daniele.
Maria Paola Buonomo
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