Elephant Sanctuary, i rifugi che proteggono dall’estinzione
20 mila sono gli elefanti uccisi ogni anno secondo la stima del WWF.
In Africa le due specie recentemente distinte dallo studio dei genomi, l’elefante di foresta e quello di savana sono classificate come specie in pericolo critico di estinzione.
La causa principale è il bracconaggio, che nell’ultimo anno e mezzo per via della pandemia è notevolmente aumentato, le zanne d’avorio ancora purtroppo estremamente richieste, sono rivendute dai bracconieri e dai gruppi terroristici nei paesi asiatici.
Ma non solo, ci sono anche i cambiamenti climatici ed i conflitti con l’uomo che minacciano questa specie, che negli ultimi dieci anni in Africa è diminuita del 20%.
Impressionano i dati forniti dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, secondo cui oggi in Africa restano solo 450 mila elefanti.
Un’accurata ricerca durata 15 anni condotta dal Mara Elephant Project in Kenya, pubblicata su Current Biology, ha rivelato che gli elefanti potrebbero occupare una vasta parte del continente africano, ossia circa il 60% pari a 18 milioni di chilometri quadrati, ma a causa dell’attività umana sempre più aggressiva e del bracconaggio sono costretti a vivere solo nel 17% di questo spazio disponibile.
Ha fatto scalpore e suscitato forte indignazione la notizia del giugno scorso, della costruzione di un giacimento petrolifero tra la Namibia ed il Botswana.
Il progetto è della compagnia petrolifera canadese ReconAfrica, il quale ha già trovato l’appoggio del governo della Namibia, che ha concesso le licenze esplorative, tuttora in corso, per la futura costruzione dei pozzi petroliferi.
Sono 130 mila gli elefanti che hanno scelto di vivere in questa zona, vicino al fiume Okavango, che ora rischia di essere deturpata irreparabilmente.
Gli ambientalisti sono insorti ed anche le popolazioni locali che temono di dover lasciare le loro abitazioni, incalcolabili infatti saranno i danni alle risorse idriche, alla pesca ed all’agricoltura.
Rosemary Alles ambientalista di Global March for Rhinos and Elephants ha affermato che: “le vibrazioni prodotte dalle esplorazioni disturbano gli elefanti e l’aumento di costruzioni, strade e traffico non solo allontaneranno gli animali dall’area, ma apriranno anche la strada ai bracconieri”.
Ed è puramente paradossale l’idea di continuare ad estrarre petrolio, in un mondo in cui si parla costantemente dei pericoli del riscaldamento globale e dei danni già adesso visibili e che diventeranno irreversibili, se non invertiamo la rotta.
Dei passi però, per tutelare questi intelligentissimi animali, si stanno facendo ed infatti negli ultimi anni sono sorti i Santuari degli elefanti.
Questi sono dei rifugi gestiti dalle popolazioni locali in cui gli elefanti, molto spesso i piccoli orfani, vengono curati ed inseriti nuovamente in natura.
Il Reteti Elephant Sanctuary in Kenya è un oasi modello, che dovrebbe essere presa come esempio e replicata in tutta l’Africa, gestita interamente dalla comunità Samburu locale.
Questo rifugio non solo salva la vita ai piccoli orfani rendendo loro possibile guarire dai traumi fisici e psicologici, ma offre anche la possibilità alle donne di trovare lavoro e rendersi indipendenti.
Il progetto di Reteti punta a far conoscere gli elefanti, a farli percepire dagli abitanti non più come un pericolo, ma come degli esseri viventi indispensabili sul territorio da salvaguardare.
Le visite nei rifugi mirano anche a far capire che dedicarsi alla tutela offre molte più possibilità lavorative. Dalla sua nascita nel 2016 il santuario ha salvato più di 35 elefanti e riportati in natura.
Essenziale è che i governi finanzino ulteriormente progetti come questo, per incrementare la salvaguardia della fauna e della flora e non prediligere la scelta cieca di un’economia di rapina del territorio.
Ogni essere vivente presente su questa terra ha il diritto di vivere e di vivere bene.
Storie come questa di Reteti vanno raccontate affinché le persone si rendano conto che tutelare un altro essere vivente ed il territorio è un dovere ed un diritto.
Beatrice Gargiulo
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