Loki. Su Disney+ il lato umano del dio dell’inganno
Loki, fascinoso e subdolo dio dell’inganno, dal 6 giugno ha finalmente un’intera serie a lui dedicata.
Si tratta di Loki, serie creata da Michael Waldron per Disney+, incentrata sull’omonimo personaggio della Marvel Comincs.
È il 2011 quando Loki, il dio delle malefatte della mitologia norrena, approda nel Marvel Cinematic Universe con il primo capitolo della saga di Thor. Dopo vari capitoli della saga Thor e dopo svariate e controverse apparizioni del personaggio nei quattro capitoli della saga degli Avengers, Disney+ ci regala Loki.
Il crime thriller Loki si colloca cronologicamente dopo la scomparsa del dio dell’inganno in Avengers: Endgame, ovvero nel 2012: Loki dopo aver rubato a Tony Stark e Scott Lang il Tesseract, scompare in una delle sue molteplici fughe. Da qui ha inizio la serie: il Loki che ritroviamo qui, infatti, vive in una nuova linea temporale e non ha ancora vissuto gli eventi di Thor: The Dark World, Thor: Ragnarok e Avengers: Infinity War.
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Proprio la linea del tempo e le sue possibili varianti fanno da sfondo alla serie. Il tempo, dimensione imprescindibile e ineluttabile, è sotto lo stretto e dispotico controllo della Time Variance Authority: Loki, o meglio le innumerevoli varianti dello stesso Loki, tra cui Sylvie, la sua versione femminile (Sophia Di Martino) si trovano, allora, preda del tempo e di personaggi ambigui e poco limpidi, in una serie in cui il confine tra bene e male è quanto mai labile.
Interpretato ancora una volta da Tom Hiddleston, Loki dal primo Thor fino alla sua straziante morte in Avengers: Infinity war non ha mai smesso di sorprendere, fuorviare, ingannare e tradire, trasformandosi ogni volta, smentendosi più e più volte, rincorrendo in eterno e con scarso successo quello che pare ai suoi stessi occhi l’unico vero motore del suo agire: i suoi gloriosi propositi.
Eppure, qui, per una volta, i suoi gloriosi propositi, quella inestinguibile sete di potere che rende Loki il personaggio fascinoso e allo stesso tempo perennemente fallibile che è, sembrano essere accantonati. Sembra, infatti, compiersi la redenzione, l’ennesima trasformazione di un personaggio sempre in bilico tra bene e male, tra ciò che è universalmente giusto e ciò che è personalmente opportuno.
Continuerai ad essere il dio dell’inganno, ma potresti essere di più.
Sembra qui farsi strada un nuovo Loki, quello annunciato in Thor: Ragnarock: un Loki che, complice Mobius (Owen Wilson), analista della TVA, smette i panni dell’aspirante tiranno e comincia a guardarsi dentro, ad analizzare paure e debolezze che si celano dietro i suoi gloriosi propositi.
La redenzione è, dunque, la chiave della serie: quel personaggio controverso e trasformista che Loki è sempre stato, esce dal loop infinito dell’inganno e del tradimento, per approdare ad una nuova concezione dei rapporti e della sua stessa esistenza, che si basa adesso sulla fiducia e su propositi, che non sono più personali eppure rimangono altrettanto gloriosi.
Questo nuovo Loki, pur mantenendo quella traccia comica che aveva assunto nell’ultimo capitolo della saga di Thor, firmato da Taika Waititi, recupera il tratto dolente, ferito e introspettivo dei primi due Thor. Di Loki, del dio dell’inganno, del tiranno crudele, emerge il lato più umano e fragile, quello disposto all’amicizia, all’amore, al sacrificio.
In sei puntate, la serie si divora in attimo. Senza voler cadere nello spoiler è possibile dire che Loki, pur avendo una sua giusta e sensata conclusione, si apre ad una seconda stagione, già confermata e già in produzione.
La serie, dunque, è quella di cui avevano bisogno quelli che, come me, non avevano ancora elaborato la morte di Loki per mano di Thanos, quelli che non si erano arresi all’idea di non rivedere più il volto algido e ambiguo di Tom Hiddleston, quelli che hanno amato Loki per il suo non essere un eroe, per il suo non essere un cattivo, per il suo essere il Dio ambiguo, fragile e contraddittorio che è.
Eppure, nonostante questo processo di redenzione, cominciato capitoli e capitoli fa, sia da considerarsi un’evoluzione positiva per il personaggio, io, che in fondo non posso mai essere del tutto contenta, voglio lasciarvi con una domanda.
Avevamo davvero bisogno di questa redenzione? È davvero necessario che un personaggio, che ha nella trasformazione e nella contraddizione la sua cifra caratteristica, assuma una forma definitiva?
La risposta è nei vostri cuori.
Valentina Siano
Vedi anche: Le vicende di Thor e Loki