Mas que un futbolista
La leggenda del calcio contemporaneo Lionel Messi dice addio al Barcellona, portando a termine una storia gloriosa, ma senza happy ending.
Nato nella provincia di Santa Fe da Jorge Horacio Messi, un operaio di un’acciaieria e da Celia María Cuccittini, donna delle pulizie, Lionel Messi ha lontane origini italiane, essendo il suo trisavolo Angelo Messi emigrato da Recanati nel 1883 ed è un lontano parente dell’omonimo pugile Luca, con cui condivide le origini familiari.
Padre e figlio hanno condiviso la stessa passione per il calcio; infatti, Horacio Messi diviene anche allenatore del club Grandoli, in cui Lionel inizia ad allenarsi. Ha talento, ma all’età di dieci anni gli viene diagnosticato un disturbo che gli impedisce di crescere, così viene soprannominato “la Pulga”, la pulce, in spagnolo. Il suo disturbo è causato dalla carenza di somatotropina, un ormone della crescita. La malattia è reversibile, ma le terapie sono molto costose; per cui la famiglia, per nulla benestante, non ha potuto pagare le cure.
Qualche anno dopo Carles Rexach rivoluziona la vita di Messi: il direttore sportivo del Barcellona rimane così colpito dal talentuoso ragazzo, a tal punto, da convincere il padre a firmare un primo contratto. Parliamo degli anni 2000 e il piccolo Messi ha solo tredici anni. La società giovanile del Barcellona, Rexach e la Masia garantiscono per lui tutte le cure necessarie per aiutare la sua crescita. Tuttavia, la consacrazione definitiva nel mondo del calcio per Lionel Messi arriva con Pep Guardiola, nuovo allenatore del Barça, colui che ha seguito i grandi campioni nella patria catalana. Lionel Messi diviene, di colpo e a soli 13 anni, la colonna portate di una famiglia che l’aveva seguito fino all’altro capo del mondo perché, da grande, sarebbe diventato un fuoriclasse.
L’argentino, nonostante la passione, incominciò a vivere in un mondo che non gli apparteneva, neppure culturalmente. Legava poco con i suoi coetanei a causa del catalano, lingua che non conosceva: Messi sentiva lontane le sue radici. Le mura del suo appartamento a Camp Nou sono testimoni delle sue lacrime, della sua solitudine, della sua malinconia per ciò che aveva lasciato. L’unica certezza sarebbe stata il calcio.
A 16 anni giocò un’amichevole precampionato con il Porto. L’allora allenatore del Barça si dovette fidare dei pareri più esperti, visto che in tanti della rosa erano impegnati con le nazionali. Annoverato nel gruppo dei grandi, Messi, il più piccolo, giocò un quarto d’ora e fu il migliore in campo. La gara ufficiale arrivò nel 2005, Messi aveva 17 anni e con lui c’era Ronaldinho, il quale fece un tiro a cucchiaio e con un altro pallonetto l’argentino scavalcò il portiere dell’Albacete e segnò: scattò il fuorigioco. “Rifacciamolo”, gli dice Dinho. L’azione viene ripetuta e la bandierina rimane giù. Ronaldinho prende Messi sulle spalle e lo sfoggia come un trofeo davanti a un Camp Nou gremito.
Ad immortalare questo momento vi è uno scatto, probabilmente, il più iconico della storia recente del Barça. Una fotografia che segna un passaggio di consegne: nonostante indossasse il numero 30, lì Messi era già il nuovo 10 del Barcellona.
Nell’annata 2006-2007 Messi caratterizza la stagione con alcune reti significative, tra cui una tripletta contro il Real Madrid e due gol che lo accostano a Maradona. Durante la semifinale di Coppa del Re contro il Getafe, segna un gol simile a quello realizzato dal connazionale contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986 in Messico, conosciuto come il gol del secolo.
In un derby cruciale nella Liga contro l’Espanyol, segna un gol con la mano, per certi versi simile alla celebre mano de Dios dello stesso Maradona. Due uomini che hanno rappresentato due popoli diversi, ma con un obiettivo comune: la voglia di riscatto contro i poteri forti. Messi è stato il portavoce di una Catalogna succube del governo spagnolo; un uomo come modello di libertà e rivoluzione nel cuore del popolo catalano, rispetto al Real Madrid insito nelle fauci dei forti. Maradona il Masaniello argentino che ha risollevato un popolo dalla notte di Napoli.
Tecnica, classe, visione, sensibilità, grinta: tutte qualità riconducibili al fenomeno argentino. Ma cosa lo differenzia realmente dal resto dei fuoriclasse che hanno calcato il prato verde in questo millennio? Ridurre il suo talento parlandone con semplici aggettivi non sarebbe corretto. Leo Messi è cuore e anima, ma soprattutto pensiero. Lui non gioca a calcio, disegna calcio. Artista contemporaneo che, attraverso il suo genio, ha reso sacro ciò che di più profano possa esistere: il campo da calcio. Penso, dunque gioco. La grandezza di Messi risiede proprio nella testa: sa già cosa fare prima degli altri, viaggia ad una velocità differente. Non sul campo, ma nella mente.
Ironia della sorte, è proprio con la testa che mette a segno uno dei suoi gol più emblematici. 27 maggio 2009, il fenomeno con la maglia numero 10 segna il gol decisivo per la vittoria finale della Champions League contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo. Minuto 69: un cross perfetto di Xavi attraversa l’area di rigore dei Red Devils, nessun difensore riesce a spazzare, la traiettoria della palla arriva in orbita Messi – il più piccolo di tutti – che con un balzo all’indietro colpisce di testa e disegna una parabola che scavalca il portiere e si insacca in porta. Gesto tecnico all’apparenza semplice, ma che nasconde una buona dose di difficoltà. 2-0 e tripudio blaugrana. Il Barcellona vincerà così la Champions League a Roma, Città Eterna che, tra i tanti, può vantare di aver visto consacrarsi la più grande stella del calcio di questo millennio. Sono passati 12 anni da quel giorno.
Dodici lunghi anni in cui Messi ha visto 6 palloni d’oro e tanti altri titoli con il Barcellona e con la sua nazionale. Profeta del calcio, vanto di Barcellona. Un destino che sembrava essere già scritto: una vita (calcistica) intera al Barcellona. L’imprevisto però è dietro l’angolo. La gestione scellerata della vecchia dirigenza blaugrana ha causato una profonda crisi economica che non ha permesso al club di rinnovare il contratto di Messi, in scadenza proprio quest’anno. L’argentino, dopo le lacrime versate per il suo addio, passa al PSG. La fine di un’era, l’inizio di un’altra. Una nuova sfida che lo porta al Parco dei Principi, luogo che accoglierà d’ora in avanti il genio assoluto del calcio.
Marianna Allocca
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