Se il gioco non vale la candela perché non lo pianti in asso?
Ci sono espressioni e modi di dire che abbiamo sentito centinaia di volte e che spesso ci siamo trovati a ripetere.
Ma ci siamo mai chiesti da dove derivano?
Perché diciamo così?
Quando il lavoro è tanto ma il guadagno è poco, avrete sicuramente pensato che, tutto sommato, “il gioco non vale la candela”.
Ma di quale candela si sta parlando?
Probabilmente, di una di quelle che si usa accendere ai santi in chiesa in cambio di una preghiera. In particolare, si riferisce a quei santi che non sono ritenuti in grado di compiere chissà quali miracoli e per i quali, quindi, non vale la pena di sprecare una candela, visto che probabilmente non saranno in grado di esaudire nessun desiderio.
Ma se il gioco non vale la candela, perché non lo pianti in asso?
“Piantare in asso” è un altro di quei modi di dire frequentissimi, ma decisamente poco chiari. Questo è perché, in realtà, la trasmissione orale ha pian piano modificato il detto, che doveva essere in origine “piantare a Nasso”, l’isola sulla quale, secondo la mitologia greca, Teseo (quel simpaticone) abbandonò Arianna dopo essersi fatto aiutare a uscire dal labirinto del Minotauro.
La povera Arianna innamorata, insomma, si è fatta fregare. Non ha “mangiato la foglia”, ovvero non è stata in grado di capire al volo le intenzioni di Teseo. Vi sono diverse teorie riguardo l’origine di questo modo di dire. Ancora legata alla mitologia greca è l’ipotesi che il detto derivi dalla foglia di moli mangiata da Ulisse per restare immune alla magia della maga Circe. Altre due teorie invece lo legano al mondo animale. Si pensa infatti che derivi o dall’abitudine dei bachi da seta di assaggiare le foglie per accertarsi che siano commestibili, oppure dagli animali da pascolo che iniziano a nutrirsi di erba e foglie una volta diventati adulti.
E “per filo e per segno“?
A quanto pare, questa espressione deriva dal metodo utilizzato un tempo da imbianchini e segantini per svolgere un lavoro preciso. Questi usavano tendere sul muro o sul legno un filo intinto di una polvere colorata che lasciava l’impronta di una linea da seguire per imbiancare o segare. È per questa ragione che ora si utilizza questa espressione per indicare un lavoro svolto in maniera meticolosa.
Quando invece qualcuno prova a fare qualcosa senza pagare si usa dire che “fa il portoghese”. Sembra che il detto derivi da un episodio storico: nel 1732, l’ambasciatore del Portogallo invitò tutti i cittadini portoghesi residenti a Roma a partecipare gratuitamente all’inaugurazione del Teatro Argentina e allo spettacolo che vi si teneva per l’occasione. Non c’erano inviti e bastava dichiarare la propria cittadinanza all’ingresso, per cui tantissimi italiani si finsero portoghesi per non pagare il biglietto. Furbi, ma non troppo.
Di modi di dire ce ne sono “a bizzeffe”, (dall’arabo bizzaff, che significa “molto”) e a volerli spiegare tutti non basterà un solo articolo. Nel frattempo, ci fermiamo qui, sperando di essere riusciti a intrattenervi e di non aver “fatto fiasco”.
Nadia Rosato
In copertina: Angelica Kauffmann, Arianna abbandonata da Teseo, 1774
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