Adele Orioli: l’Uaar per il diritto di non credere
In occasione dell’evento Ceci n’est pas un blasphème che si è tenuto al PAN a settembre, abbiamo intervistato Adele Orioli.
Adele al festival ha rappresentato l’Uaar: Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.
E tra citazioni di Stefano Benni e di Margherita Hack, abbiamo parlato di laicità e libertà di pensiero.
Ci siamo documentate e abbiamo notato che citi una frase di Benni: “Se Dio non c’è, ci fa una figura migliore.”
Ci piacerebbe conoscere le tue riflessioni in merito.
«Ci sono tanti ateismi e agnosticismi quanti sono gli atei e gli agnostici. Personalmente la questione dell’esistenza o meno di un essere supremo non mi interessa né mi appassiona, ma come direbbe la mai abbastanza compianta, nostra presidentessa onoraria Margherita Hack, l’unica scelta razionale di fronte a una domanda senza risposta è l’agnosticismo. Ecco perché non so se c’è o non c’è. Di sicuro però, ragionando tanto di probabilità quanto di effetti pratici sulla nostra umanità, gli conviene non esistere perché se c’è o è disinteressato o è sadico».
Puoi spiegarci che ruolo hai nell’Uaar?
«Sono responsabile delle iniziative legali e già segretaria nazionale, direttrice della collana IURA per la casa editrice NessunDogma. Mi occupo di consulenze e patrocini gratuiti a difesa tanto della laicità dello stato quanto della libertà di non credere dei singoli cittadini. Dallo sbattezzo all’insegnamento di religione cattolica nella scuola pubblica, dagli atti di culto sui luoghi di lavoro alle cerimonie umaniste (sono infatti da più di 10 anni anche celebrante laica e come Uaar agiamo anche sui diritti negati in questo ambito).
Due recenti vittorie, una in Cassazione e una al Tar, riassumono parte delle nostre iniziative. Da un lato è stato sancito nero su bianco il diritto alla propaganda ateistica, dall’altro è stata annullata la circolare ministeriale che faceva slittare la scelta per le alternative alla religione cattolica ad anno scolastico già iniziato».
Abbiamo letto che ti occupi anche di svincolamento della legislazione sessuale da matrici religiose. Che passi in avanti ha fatto l’Uaar in merito a ciò?
«In questi giorni abbiamo lanciato la nostra nuova campagna proprio in difesa dell’aborto farmacologico. Siamo partiti da Roma, anche dal liceo Giulio Cesare, dove la preside ha vietato un’iniziativa in autogestione sulla legge 194.
Qui puoi trovare più informazioni sulla nostra iniziativa: https://www.uaar.it/aborto-farmacologico-conquista-difendere/
Ci stiamo anche occupando di un ricorso alla Corte Europea dei diritti umani per una censura che ha subito la nostra campagna sull’obiezione di coscienza a Genova».
Come sei entrata in contatto con Emanuela Marmo e quindi come sei arrivata a Ceci n’est pas un blashpème?
«Ho conosciuto Emanuela durante un’iniziativa a Roma sul diritto di libera espressione del pensiero e mi ha contattato per supporto a Ceci n’est pas un blasphème. In quanto associazione siamo partner e sponsor».
Quindi qual è il messaggio che hai voluto lanciare tramite questo festival?
«La tutela del sacro è fortemente discriminante per i non credenti e la loro cosmogonia, oltre che decisamente in conflitto con il diritto di ben più alto rango di libera manifestazione del pensiero. Per di più grazie alle leggi anti-blasfemia in tutto il mondo si silenziano le voci di opposizione e i diversamente pensanti.
L’arte ancor più di altre forme di espressione deve poter essere libera e non censurabile, pena la decadenza stessa del concetto di espressione di quella umanità che ci appartiene ben a prescindere dal nostro credo, o non credo, religioso».
Angela Guardascione
Fonte immagine: Uaar.it
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