Che rapporto c’è tra il diritto alla libertà di espressione e la censura? Ce lo spiega Dea Squillante
Nella terza serata evento di Ceci n’est pas un blasphème – il 19 settembre all’Asilo filangieri – Emanuela Marmo ha condotto un talk show dedicato alla blasfemia nel cinema.
Tra i partecipanti, la prima a prendere la parola è stata Dea Squillante.
Dea Squillante è una giurista ed è anche la direttrice e organizzatrice, insieme all’Associazione culturale Il Cantiere dell’Alternativa, del Sarno Film Festival: festival cinematografico che coniuga diritti costituzionali e cinema.
Si tratta di un progetto didattico interessante e innovativo che mira a spiegare i diritti ai cittadini attraverso il mezzo audiovisivo. Ogni anno gli organizzatori scelgono un articolo della Costituzione che sarà il leitmotiv dell’intero evento e, soprattutto, del concorso di cortometraggi, che è l’attività principale del SFF.
L’edizione del 2020, data del decimo anniversario del Sarno Film Festival, ruotava attorno all’articolo 21 che sancisce il principio della libertà di pensiero e di espressione.
Ecco scoperto l’anello di congiunzione tra Dea Squillante e il Festival delle arti per la libertà di espressione. Il contributo di Dea è di estrema importanza perché offre il punto di vista giuridico sulla questione della libertà e della censura, che chiaramente non è un problema esclusivamente artistico o personale.
Con orecchie tese e sguardo stupito, ascolto Dea, cordiale e sorridente.
Qual è il motivo della tua partecipazione al Festival?
«Mi sono posta la stessa domanda quando sono stata invitata da Emanuela. Questo è un Festival molto particolare, ma proprio per questo interessante. Io semplicemente rappresento due facce di una stessa medaglia che per questo talk show sono fondamentali: da un lato sono un avvocato e un giurista, pertanto conosco e posso illustrare le norme che riguardano i delitti contro il sentimento religioso e la libertà di espressione; dall’altro lato, sono una delle organizzatrici del Sarno Film Festival che approfondisce i temi del diritto e delle libertà costituzionali. L’anno scorso in particolare, ci siamo soffermati sull’articolo 21 – la libertà di pensiero e di espressione con particolare riferimento all’arte – e quindi, probabilmente, per questo impegno e per la natura della mia professione, il direttore artistico – Emanuela Marmo – ha ritenuto che fossi la persona adatta ad aprire il talk show.»
Ha accolto con entusiasmo la proposta aderendo immediatamente all’iniziativa?
«Sicuramente. Ho aderito subito perché si tratta di un’iniziativa molto importante proprio nell’ambito del diritto e della libertà di espressione, in un’era contemporanea nella quale la censura cinematografica – anche se è stata abolita recentemente con la firma del ministro pochi mesi fa – esiste ancora. Esiste nella mente delle persone. Esiste nella vita quotidiana. Un artista/regista è tale perché esprime i propri concetti nei suoi film, che possono essere anche non condivisibili, ma l’artista deve avere il diritto di esprimerli ed io, eventualmente, di contestarli. Posso però contestare un artista con le idee e non con i mezzi per limitarlo. Questo discorso vale per qualsiasi altra libertà.»
Quindi, considerando il versante giuridico, possiamo dire che sulla carta c’è stato un passo avanti in materia di libertà, ma che di fatto la situazione è ancora ingolfata?
«A livello giuridico il discorso è molto complesso e affonda radici in tempi lontani perché i reati d’opinione contro il sentimento religioso risalgono al periodo fascista mentre la libertà di espressione è tutelata dalla successiva Costituzione con l’articolo 21. D’altro canto, anche la libertà religiosa è tutelata dalla Costituzione agli articoli 19 e 20: una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito infatti che non si può sollevare l’incostituzionalità delle norme del Codice Penale, perché deve esistere un bilanciamento tra le due libertà, cioè quella di espressione e quella di religione.
Il concetto da capire è che il Codice Penale è una fonte di grado inferiore rispetto alle libertà tutelate dalla Costituzione. Nell’ambito della gerarchia delle fonti ci sono diversi gradini che vanno rispettati: la Costituzione è in cima a tutte e solo dopo di essa vengono le leggi ordinarie, quindi i codici. Diciamo che se non esistesse la libertà di religione nella Costituzione sarebbe stato molto più semplice affermare l’assoluta prevalenza della libertà di pensiero sugli articoli 403 e seguenti del Codice Penale che sanzionano il vilipendio della religione e gli altri reati di opinione. Quelle leggi esistono proprio per tutelare la libertà di religione che appunto è un diritto stabilito nella Costituzione.
Col tempo, il legislatore si è finalmente adeguato non solo alle previsioni costituzionali, ma anche all’emancipazione dei costumi e al progresso culturale e sociale modificando l’assetto codicistico: ragion per cui nel 2006 c’è stata una grande riforma di questi articoli del Codice Penale. Il discorso sulla censura cinematografica è poi ancora un altro, altrettanto lungo e articolato, ma si è concluso solo pochi mesi fa con la firma del decreto attuativo che segue la cosiddetta “Legge cinema” del 2016 ed istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche.
Teoricamente si tende a far prevalere la libertà di pensiero, ma attraverso altre previsioni – come la tutela dei minori e del loro sviluppo intellettivo – si censurano ugualmente le opere artistiche, letterarie, cinematografiche e via discorrendo.
Ad esempio, è di luglio una delibera dell’Agicom con la quale è stata sanzionata la Disney per la messa in onda, in fascia protetta, sul canale Fox – che, attenzione, non è un canale per bambini – di una puntata dei Griffin, Gesù, Giuseppe e Maria, in cui si scherniva la natività.
Certamente, grazie alla riforma del 2006 oggi non ci sono più i processi legati al vilipendio diretto della religione, come quello di cui è stato protagonista Pasolini. Adesso, rispetto ad allora, viene maggiormente tutelato il diritto di satira e la libertà di pensiero.»
Parlando di altri film o serie di animazione americani che sono stati censurati, per un motivo o per l’altro (come I Simpson), arriviamo alla giurisdizione statunitense.
«In America, sulla tutela delle opere filmiche, è stato messo un punto fermo con una sentenza del 1952 della Corte Suprema. Lì la libertà di espressione prevale come primo emendamento rispetto a qualsiasi blasfemia.
La Corte Suprema dovette affrontare per la prima volta il problema della libertà di espressione di un’opera filmica nel 1948, con L’amore di Rossellini, sceneggiato da un giovanissimo Fellini. Questo film è diviso in due episodi e il secondo, soprannominato Il miracolo, fa satira sul mistero dell’immacolata concezione. Possiamo immaginare lo scandalo che generò.
Tuttavia, la Corte Suprema decise di non condannare l’opera e deliberò la sentenza della quale ho accennato prima. In America tutto quello che per noi è acquisizione recente, è già scontato da decenni.
La situazione è ben diversa in altre parti del mondo, dove invece offendere la religione prevede la pena di morte. Fatto gravissimo.
Noi siamo a metà strada: da un punto di vista formale, abbiamo fatto un buon percorso; da un punto di vista pratico, la censura non è morta. Magari ha solo cambiato forma; basti pensare al politically correct. Non si è sempre totalmente liberi di esprimere la propria opinione.»
Qual è il suo ruolo durante il talk show?
«Ho l’impegno di aprire il talk show per spiegare ad un pubblico, che potrebbe non avere alcuna base di diritto, alcuni concetti che per questo potrebbero risultare ostici e cioè il discorso giuridico intorno alla libertà di pensiero e di opinione.
Io sono venuta a spiegare un fatto, come funziona il diritto e come si è evoluto, non ad esprimere la mia opinione rispetto ad esso.
Per farlo ho scelto casi importanti, come La ricotta di Pasolini e Il miracolo di Rossellini, fino all’ultima sentenza italiana. Nel 1998 Maresco e Ciprì sono stati sono stati accusati di vilipendio e processati per Totò che visse due volte. Per fortuna dopo tre anni sono stati assolti, ma la particolarità di questo caso è che c’è stata una censura preventiva. Infatti il film non è stato proprio distribuito nelle sale, ma è stato censurato prima che arrivasse in Italia. Quando è stato reintegrato, è stato comunque vietato ai minori di 18 anni. Ecco dimostrato come la censura agisce lo stesso per vie traverse.
Nonostante la censura ci sia sempre, è importante affermare il proprio pensiero e contestare, perché la verità e la giustizia non sono mai solo da una parte.
Posso capire che la religione, in quanto culto e sentimento, debba essere rispettata, ma non tutto quello che riguarda il suo potere temporale. È in questo che troviamo tante falle che un artista percepisce e tenta di sfaldare per sollevare il famoso coperchio del vaso di pandora. Ed è giusto che sia così.»
Non serve aggiungere altro. Le delucidazioni di Dea Squillante sono state esaustive, stimolanti e incisive. Arrivano chiare e forti anche a chi, come me, ne sa poco di giurisprudenza.
La libertà di pensiero e di espressione è e deve restare un diritto inalienabile!
Giusy D’Elia
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