Così come sa di terra e vento, il rugby sa di ragù
Domenica chiama sugo.
Sugo chiama scarpetta.
Scarpetta chiama pane…ma che ve lo dico a fa’!?
Mi sveglio e non dormo più. Casa è vuota. La pentola del ragù pronta lì, sul piano. C’è pure il pane fresco. Apro il frigo, prendo il latte, guardo la pentola, poi il pane, poso il latte. La domenica è un’altra storia. Colazione come si deve e con i suoi tempi. Che se c’è una cosa che mi piace assai è la calma.
I passi importanti vanno fatti con calma. Sorridi, respira e vai piano.
Taglio il pane, tuffo il cozzetto nel ragù. Mamma si arrabbierà. Mamma ora non c’è e questa è la mia colazione. Cazzeggio col telefonino. Un messaggio di Massimino dice che oggi sono titolare e mi prega di non fare tardi.
L’appuntamento è sempre lo stesso, ormai da anni, al campo Albricci, alla mezza. Guardo l’orologio; le 12:10 ed io continuo con la gara di tuffi. Fuori piove e il cielo è nero. Il sugo in esame è buono, buonissimo, un po’ meno lo saranno gli avversari di oggi, soprattutto quel 12 lì, quello grosso, veloce e incazzato perché all’andata gli hai rotto il naso. Tornano i miei.
E adesso? Lei mi ha preparato il ragù. Cosa le dico? Sa che ho smesso. Non lo sopporterebbe, specie di vedermi entrare ancora in una sala operatoria. Lei che proprio così ha perso un fratello – E no, mà… Non mangio a casa. Esco con gli amici. Ed ecco che assumo un’espressione ambigua, una di quelle che comprende ogni tipo di possibilità immaginarie. Un solo dettaglio, uno di quelli superflui, uno di quelli che può mandare in malora le coperture migliori.
Ma lei lo sa. Lo sente. E allora, vado in camera e dal balcone lancio la borsa di sotto. Non può vedermi uscire con la borsa. Saluto i miei ed esco. Borsa recuperata e via. È come una ferita preziosa, come una tristezza a cui non vuoi rinunciare, perché è un dolore troppo piacevole. Tutti vogliamo che le cose restino uguali, accettiamo di vivere nell’infelicità perché abbiamo paura dei cambiamenti, delle cose che vanno in frantumi, ma tu hai guardato un po’ più in là ed hai deciso di andare.
E allora vai, vai a sentirti giovane. Ancora per un po’.
Forse la nostra vita non è stata così caotica, è il mondo che lo è. E la sola vera trappola è restare attaccati a ogni cosa. I dolori ci appartengono. Ce ne sono grandi, piccoli, riparabili e irreparabili. Vanno ascoltati, compresi, e curati. Non cercare di eludere, mascherare o nascondere, non lasciarti ossessionare dall’idea di doverti sentire meglio per forza. Il dolore passerà secondo i tuoi tempi. Sia io che te meritiamo di più.
C’è che poi, “Forse sono troppo vecchio per giocare a rugby, ma non oggi.”
Francesca Scotto di Carlo
Vedi anche: Al Divin Codino gli si vuole bene comunque. Anche quando sbaglia