La scuola cattolica e la censura: l’Italia che non vuole bene ai suoi figli
La scuola cattolica è un film uscito il 7 ottobre, diretto da Stefano Mordini e ispirato all’omonimo libro di Edoardo Albinati.
La vicenda raccontata rappresenta un resoconto di quella che è passata alla storia come la strage del Circeo, avvenuta nel comune romano di San Felice Circeo tra il 29 e il 30 settembre 1975.
Le vittime della strage furono due giovani amiche, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, residenti nel quartiere popolare della Montagnola che rispettivamente all’età di diciassette e diciannove anni furono sequestrate, seviziate torturate, e infine uccise.
Donatella riuscì a salvarsi dal massacro fingendosi morta, e iniziando ad urlare una volta che le due ragazze furono abbandonate nel portabagagli di una macchina, attirando l’attenzione dei vicini.
I colpevoli, figli di agiate famiglie romane, erano il ventiduenne Andrea Ghira, il ventenne Angelo Izzo, studente di medicina e il diciannovenne Gianni Guido, studente di architettura, tutti e tre con precedenti penali.
Il film rappresenta efficacemente il contesto sociale delle famiglie degli assassini e quelle dei compagni di scuola di quest’ultimi, tutti alunni della Scuola cattolica.
Il contesto mette in luce le fragilità di famiglie benestanti, in cui le coscienze sono disgregate e la violenza è quotidiana. Tale ipocrisia trova la propria giustificazione in un falso perbenismo, e in una fede svuotata di profondità, la cui presenza è così parossisticamente presente da risultare invadente, eccessiva e falsa.
Una fede che cede alla corruzione e alla violenza per non modificare un ordine prestabilito; una perfezione la cui immobilità cela le crepe, le fragilità, le insicurezze di rapporti sociali, amicali e affettivi non veramente ponderati, non veramente sentiti come tali ma esistenti solo in virtù della convenienza, del beneplacito e il consenso di tutti coloro che prendono parte a questa farsa; questa è dolce per coloro che hanno deciso di non vedere e di non porsi domande, e troppo amara per chi invece è capace di discernere, e di intercettare il vuoto e la pericolosità delle coscienze.
L’intensità e la tragicità del film sono così forti che è impossibile farle rivivere per iscritto e le scene in cui la violenza perpetuata dai ragazzi sul corpo delle ragazze raggiunge il suo apice, sono strazianti per la loro verosimiglianza. La responsabilità di questo è da ricondurre anche alla giovane attrice italiana Benedetta Porcaroli, che nonostante ne abbia già dato prova, ha dimostrato in questa interpretazione tutto il suo talento recitativo, ma la propria maturità e sensibilità nella rappresentazione così verosimile e sentita di una violenza così difficile da immaginare.
All’epoca lo stupro era considerato un reato contro la morale e non contro la persona, ma la strage del Circeo inaugurò in Italia una stagione di intensi dibattiti sul tema, che ebbero come conseguenza il passaggio dello stupro a reato contro la persona solo nel 1996.
Del film si è anche molto parlato e discusso sui social perché ha subito una censura molto severa, essendo stato vietato ai minori di diciotto anni da parte della Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, organo subentrato solo sei mesi fa per volontà del ministro Dario Franceschini, con lo scopo di abolire la possibilità dello Stato di sindacare su opere artistiche. Questo atto è stato molto criticato soprattutto perché il film coinvolge per lo più attori giovani e la vicenda rappresentata è stata realisticamente compiuta e subita da giovani, anche minorenni.
Tuttavia, il film non è stato censurato per le scene di violenza che caratterizzano il film, bensì per una scena in cui un insegnante durante una lezione equipara le vittime ai carnefici, perché entrambe le categorie sono partecipi di un’idea di male.
Così tale censura si configura come una scelta bigotta, ipocrita e irrispettosa di fronte ad una delle vicende storiche italiane emblematiche per le rivendicazioni femministe.
Infatti, in quanto ragazza che vive nel ventunesimo secolo posso dire di essere vittima di una società ancora maschilista e patriarcale, e per quanto dal 1975 siano stati fatti passi avanti su quel fronte, il femminicidio e lo stupro sono, come tutti ben sappiamo, ancora due pericoli presenti e reali a cui ancora la nostra società non ha saputo rispondere adeguatamente.
Sebbene ci sia una maggiore sensibilità e informazione sul tema e sebbene si sia costituito un movimento di militanza femminista che lotta per e con le donne non solo per denunciare abusi, ma per il raggiungimento di una parità di genere concreta, la giurisdizione italiana è ancora molto carente sul tema, basti pensare al Ddl Zan che tutelerebbe anche le donne vittime di abusi, che ancora non è stato approvato.
Purtroppo nemmeno i colpevoli della Strage del Circeo ebbero una pena equiparabile alla violenza che avevano perpetuato ai danni delle due ragazze, infatti sebbene tutti e tre avessero ricevuto l’ergastolo (Ghira in contumacia), Ghira riuscì a fuggire in Spagna mentre Izzo, una volta uscito di prigione per buona condotta nel 2005, rapì e uccise altre due donne. Infine, a Guido venne ridotta la condanna a trent’anni dopo essersi pentito e aver risarcito la famiglia della ragazza uccisa.
Il film è un invito a una presa coscienza del problema e uno strumento di divulgazione e sensibilizzazione alla tematica. Purtroppo però la censura ostacola fortemente questo processo, non permettendo agli adolescenti, categoria che più avrebbe dovuto vedere il film, di intraprendere un processo di consapevolizzazione che può e deve instaurarsi anche grazie alla visione di un film.
Questo intervento dettato da perbenismo, ipocrisia e bigottismo, come l’assenza di una reale educazione sessuale nelle scuole dimostra come l’Italia non voglia bene ai suoi figli.
Chiara Celeste Nardoianni
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