Ma.Ma, il grembo della speranza sorge a Rebibbia
È delle ultime ore una notizia che strappato un sorriso un po’ a tutti.
Presso il penitenziario femminile di Rebibbia è sorta, grazie allo straordinario lavoro dell’architetto di fama mondiale Renzo Piano, “Ma.Ma, Casa per l’affettività e la maternità”, una piccola casa arancione pronta ad accogliere i figli delle detenute di Rebibbia.
“È una casetta che somiglia a una casetta. Così come la prigione somiglia alla prigione” asserisce fieramente Piano, descrivendo l’intento non poco ambizioso che si cela dietro Mama. Ventotto metri quadrati, mura arancioni, il verde del boschetto del penitenziario di Rebibbia, il giardino di magnolie e melograni pensati per la merenda dei bambini, hanno un fine molto importante che è quello di dare uno spazio all’affettività, alla riscoperta di una maternità complicata. Una casetta accogliente che possa sostituire le fredde mura di un parlatorio, dove le mamme di Rebibbia hanno la possibilità di godersi i momenti di affetto e crescita dei propri bambini, riflettendo sul futuro e sulla possibilità di riabilitazione.
È proprio questo aspetto che ha voluto sottolineare l’architetto senatore Piano: “Il carcere non deve essere punizione o vendetta, piuttosto un luogo in cui si cambia”.
I lavori di Mama, in realtà, si erano conclusi nel 2019.
Renzo Piano ha realizzato la struttura in collaborazione con l’Università e la Facoltà di Architettura, con lo straordinario lavoro dei tre giovani architetti Tommaso Merenaci, Attilio Mazzetto e Martina Passeri, borsisti del suo progetto G124 e coordinati dalla professoressa Pisana Posocco. Nonostante i lavori si fossero conclusi, come avrete intuito, lo stop forzato del lockdown ha rinviato l’apertura delle porte di Mama alle donne di Rebibbia soltanto il 19 ottobre di quest’anno.
Mama si presenta come una struttura facilmente replicabile nelle altre carceri italiane per far sì che la funzione riabilitativa della pena sia realmente tale, in un paese in cui Rebibbia, così come le altre periferie difficili, vengono abbandonate molto spesso a loro stesse, chiuse nel loro grembo senza alcuna possibilità di riscatto. Ma.Ma è un grembo colmo di speranza, un piccolo inizio che poi così piccolo non è, che può restare tale, ma anche essere d’esempio per gli altri (pochi) penitenziari femminili presenti sul nostro territorio.
Il terzo comma del ventisettesimo articolo della Costituzione Italiana recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” ed è proprio un nuovo inizio, passo dopo passo, che auguriamo alle trecentoventi madri di Rebibbia, che oggi hanno un motivo per sorridere.
Catia Bufano
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