Mafia e terrorismo: due facce della stessa medaglia… insanguinata
Quando parliamo di criminalità organizzata tradizionalmente ci riferiamo ai sistemi mafiosi impiantati sul territorio, ma invero anche le organizzazioni terroristiche possono rientrare nella categoria, solo che per motivi diversi.
Il fenomeno mafioso in Italia affonderebbe le sue radici nella metà dell’800 durante le rivolte antiborboniche.
Il senatore Niccolò Turrisi, in un opuscolo sulla sicurezza pubblica in Sicilia nel 1848, con il termine “setta” si riferiva a quella che si può considerare la prima organizzazione proto-mafiosa, ossia gruppi armati di delinquenti che fomentavano le insurrezioni e il malcontento della popolazione. Proprio il malcontento fu il pretesto che permise a questi gruppi di imporsi: si strinsero in alleanza col popolo allo scopo di sconfiggere i borbonici, ma in cambio veniva richiesto di non mettere in discussione l’ordine sociale che ne sarebbe scaturito.
Dopo l’avvenuta unificazione tuttavia, le aspettative del popolo furono deluse da ogni lato: sia dal governo che impose ulteriori oneri, creando di fatto la questione meridionale; sia dai gruppi facinorosi (i gabellotti) che si infiltrarono nel sistema feudale, instaurando rapporti di clientelismo con i baroni, divenendo loro intermediari nella gestione delle proprietà e controllando con la violenza i territori circostanti.
Si costituì così una “mafia del feudo”. Tra il 1865 e il 66’ comparivano nei documenti governativi le prime attestazioni del termine “mafia”, con il quale si indicava appunto «un’associazione malandrinesca in rapporto con i potenti».
Senza entrare nel merito di una storia lunga e cavillosa, diciamo solo che alla fine del XIX secolo, nonostante le proteste contadine, il potere delle mafie si ampliò in maniera smisurata, trasformandosi nel vero cancro del sistema politico e istituzionale italiano. Cosa Nostra, la versione sicula del concetto generico di “mafia”, diede luogo ad un’amministrazione sempre più capillare della regione, versando sangue di innocenti e agendo nell’ombra.
Solo nel 1992, grazie all’intrepida azione di alcuni magistrati pronti a dare la vita pur di condannare le ingiustizie perpetrate da questi gruppi criminali, si arrivò a riconoscere effettivamente l’esistenza di un “governo-ombra” mafioso. Fu così la volta del Maxiprocesso di Palermo, dove si contarono più di 475 imputati. Quella struttura corrotta, la cosiddetta “cupola”, era stata smascherata e trascinata in tribunale. Le cosche reagirono con gli attentati ai danni dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le loro tragiche morti scossero le coscienze, ponendo sotto agli occhi di tutti la necessità di reagire ad un potere illecito, violento e sanguinario.
Dal 1996 è stato istituito il 21 marzo come data dedicata alla commemorazione delle vittime della mafia.
Per quanto la diffusione di mafie nel nostro paese sia – cosa tremenda a dirsi – un fatto secolare, non si tratta dell’unica truculenta manifestazione di criminalità organizzata che vi abbia avuto luogo.
Tra gli anni Sessanta e Ottanta, l’Italia andò incontro a quelli che poi passarono alla storia come gli Anni di Piombo: un periodo in cui, anche a causa di tensioni internazionali, la dialettica politica subì un indurimento dei toni, fino a sfociare in azioni di dura protesta o persino di scontro armato.
Il momento clou di questa escalation di violenze si ebbe nel 1978, quando il giorno stesso della presentazione del nuovo governo guidato da Andreotti, Aldo Moro (esponente di rilievo del partito democristiano) venne rapito mentre si recava alla Camera. Nell’agguato organizzato dalle Brigate Rosse persero la vita cinque uomini dell’ordine che erano stati assegnati alla tutela di Moro, il quale, dopo 55 giorni di trepidazione per tutta l’Italia, venne assassinato.
Moro non fu l’unica vittima di quel periodo di stragi, ma la sua vicenda fomentò la reazione contro il terrorismo rosso, provocando l’insorgere dell’opinione pubblica e l’attuazione di una serie di provvedimenti sempre più stringenti che evitassero il ripetersi di simili situazioni e che liberassero il paese da quella barbarica legge del terrore permanente.
Ad ogni modo, oltre al rosso di estrema sinistra, in quegli stessi anni esisteva anche un terrorismo nero di estrema destra. Gruppi neofascisti nostalgici del regime si resero artefici di alcuni degli attentati più brutali dell’Italia repubblicana. Il bilancio dei morti della Strage di Piazza Fontana (dicembre 1969) o della Strage di Bologna (agosto 1980) parlano da sé.
Quelle presentate finora sono situazioni che, per un motivo o per un altro, sembrano distanti anni luce dalla nostra realtà. Per fortuna, alla fine degli anni Ottanta si pose termine a questi due tipi di terrorismo. Dall’altra parte, seppur non sconfitto e anzi ancora lungi dall’esserlo, quantomeno il fenomeno delle mafie sul nostro territorio è ormai denunciato e combattuto (nonostante i tristi concorsi a delinquere di alcuni personaggi della politica italiana).
Se allarghiamo il nostro sguardo sul mondo però, ci accorgiamo che fenomeni all’apparenza circoscritti al nostro paese o a determinati periodi storici sono in realtà ben presenti (seppur sotto forme differenti) nel panorama geopolitico internazionale.
Dall’inizio del nuovo millennio, a seguito di una serie di protratti conflitti in Medio Oriente, si è creata una spaccatura sempre più profonda tra le civiltà (perlopiù musulmane) che abitavano questa zona e l’Occidente. Il risultato è stato lo sviluppo di una nuova tipologia di azioni terroristiche di stampo religioso, improntate a rispondere col fuoco e col sangue all’occupazione nemica dei propri territori.
La prima organizzazione a spostare oltre i confini iracheni e afghani la disputa con gli occidentali fu Al Qaeda, la quale arrivò a concepire l’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Una data difficile da ricordare senza che un brivido corra lungo la schiena, una data ormai scolpita a caratteri cubitali nelle coscienze di tutti.
Col passare degli anni, complice la ramificata diffusione di questi gruppi su terreni già stremati dallo stato di guerra perenne e dalle condizioni di estrema povertà, il terrorismo islamico è diventato un nemico sempre più potente.
L’Isis fu capace (e lo è ancora oggi) di sfruttare i contesti poco limpidi e caotici delle guerre in Iraq e Siria per arricchirsi e organizzare le proprie schiere di soldati indottrinati alla jihad. Il tragico risultato si misura nelle centinaia di vittime innocenti dislocate tra Europa e USA. Il Bataclan, Charlie Hebdo… sono simboli di anni di panico e di apprensione in cui nessun luogo sembrava sicuro.
Ovunque e in qualsiasi momento, estremisti senza scrupoli avrebbero potuto farsi esplodere trascinando con sé qualunque malcapitato si trovasse nei paraggi.
Tutte queste organizzazioni hanno agito per motivi diversi, ma tutte sono state mosse da una smania di potere distruttiva, spaventosa e incomprensibile. Cosa spinge questi “uomini” a calpestare impietosamente migliaia di vite? Esiste un modo per combattere o, ancora meglio, per prevenire simili fenomeni?
A quanto pare purtroppo la nostra società, capace di dipingersi come la più sviluppata e democratica di sempre, non possiede ancora risposte a queste domande.
Giusy D’Elia
Illustrazione di Sonia Giampaolo
Vedi anche: L’ 11 settembre secondo me (e chi ancora non c’era)