Sandy Kominsky, insegnami a vivere
La serie Il metodo Kominsky è ideata da Chuck Lorre (scrittore e produttore di The Big Bang Theory e Due uomini e mezzo), ed ha come protagonista il premio Oscar Michael Douglas.
Il metodo Kominsky è interamente disponibile su Netflix dal 2018.
Se c’è una cosa che Netflix sa fare bene, è trattare la terza età. Non sono molte le serie che hanno come protagonisti uomini e donne anziani, ma quelle perle rare che trovate sulla piattaforma, vale la pena di vederle. Lo sanno bene i fan di Grace and Frankie, con protagoniste Jane Fonda e Lily Tomlin. Trattare della terza età non è mai stato così effervescente e divertente. E lo è anche con Il metodo Kominsky.
Sandy Kominsky (Michael Douglas) è un uomo anziano, un attore che non ha mai avuto il successo meritato. Ma Sandy Kominsky è anche uno straordinario insegnante di recitazione. I suoi alunni, non a caso, lo adorano. Il suo metodo, empatico e passionale, ma ben studiato, conquista tutti i suoi allievi.
A fianco a Sandy non può mancare l’amico di vecchissima data, Norman Newlander (il premio Oscar Alan Arkin), suo ex agente piuttosto facoltoso. La presenza di Norman sarà sostituita, nella terza ed ultima stagione, da un buddy piuttosto speciale: l’ex moglie di Sandy, Roz (Kathleen Turner).
Questa dramedy dal sapore agrodolce, fatta di dialoghi brillanti nelle prime due stagioni, e dialoghi più malinconici nell’ultima, ha centrato una questione molto importante: cos’è, davvero, la vecchiaia? Senza patetismi, la serie affronta tanti temi cruciali, la morte su tutti. Ma non accade mai in una maniera univoca.
La bellezza di Il metodo Kominsky è la varietà con cui affronta, e fa affrontare, il dinamismo intrinseco della vita. Non c’è un modo giusto o sbagliato per affrontare la morte. Norman continuerà a parlare con la sua defunta moglie, perché gli da conforto. Ma Norman e Sandy sono anche gli stessi che, dinanzi alla salma di un loro amico, non possono fare a meno di sferzare le loro battute taglienti, consapevoli che la morte la affrontano ogni giorno.
E non solo la morte, ma anche la malattia, è trattata con una naturalezza disarmante. A Sandy è stato diagnosticato un cancro, e Sandy lo cura, inizialmente nascondendolo all’adorata figlia Mindy (Sarah Baker). Nient’altro.
La serie glissa, elegantemente, sui cicli di chemio (che, infatti, non si vedono nelle varie puntate). L’unica cosa che gli spettatori sapranno è che Sandy, per fortuna, è guarito dal cancro. E va bene così. Nessun patetismo, nessuna virata alla Grey’s anatomy, ma solo la vita di un uomo anziano che accetta il trascorrere della vita stessa sul suo corpo.
Le tre stagioni di Il metodo Kominsky sono diverse tra di loro. La prima sembra essere più ironica, leggera, la morte e la malattia sembrano essere presenze che aleggiano in modo astratto e discontinuo nella vita di Sandy. Già dalla seconda, i toni sembrano farsi più drammatici.
Ma è un errore credere che Il metodo Kominsky perda la sua freschezza. Perché se c’è una cosa che Sandy sa fare, quella è non perdere mai il suo mordente, la sua passione e il suo affetto per i suoi alunni, alcuni suoi amici, la sua famiglia.
Merito della serie è la capacità di rendere aderente alla realtà lo scambio di battute tra due persone che si conoscono da anni e anni. Sandy è un libro aperto per Norman, e lo sarà per Roz.
La capacità che hanno Norman e Roz di capire lo stato d’animo dell’attore/insegnante è disarmante: basta un avverbio, una parola in più o una in meno per comprendere, tra le righe, Sandy. Ad esempio, Roz sa che quando Sandy inizia una frase con “onestamente…”, Sandy sta mentendo. E Sandy non può barare con lei. Se non è complicità questa.
«Mentre un attore recita, che cosa lui o lei o loro, stanno facendo? Beh, da una parte la risposta è facile. Stanno fingendo e a noi sembra reale. Ma a un livello più profondo dovremmo chiedere a noi stessi: “Che sta succedendo?” Chiedetemelo, vi prego, perché sto iniziando a sentirmi solo qui. Quello che succede, e voglio che ascoltiate bene, quello che succede è che l’attore interpreta Dio. Perché, dopotutto, che cosa fa Dio? Dio crea. Dio dice “ecco il mondo” e bam! Quel mondo esiste. Dio dice “Ecco la vita” e bam di nuovo! Nasce la vita. Dio dice “Ecco la morte” e boom! Oscurità. E l’oscurità ritorna. Per noi questo che significa? Che ne facciamo di questa informazione e come lo riportiamo nel nostro lavoro? La risposta, miei cari colleghi, è che, come Dio, dobbiamo amare le nostre creazioni. Dobbiamo riempirle di vita, di carattere, di speranza, di sogni e di errori fatali, e poi… e poi dobbiamo lasciarle andare. Perché alla fine il vero amore, l’amore di Dio, è lasciare andare».
Così parla Sandy ai suoi allievi, durante una delle sue lezioni più brillanti. E allora, ama, vivi, crea, sbaglia e lascia andare. Sandy Kominsky, insegnami a vivere.
Aurora Scarnera
Fonte copertina: thewalkoffame.it
Leggi anche: Squid Game, la serie (non troppo) perfetta di Netflix