Shiva Baby – Sbiadire nella propria comunità
Cosa succede quando incontri il tuo sugar daddy, con moglie e figlia, durante la tradizionale shiva ebraica?
Ce lo racconta il lungometraggio di Emma Seligman, disponibile in streaming sulla piattaforma MUBI.
Shiva baby (2020) è l’esordio alla regia di Emma Seligman, regista e sceneggiatrice, che ha creato questo progetto a partire da un cortometraggio del 2017, con lo stesso titolo, e in cui era già presente l’attrice protagonista, Rachel Sennot.
La shiva (“sette”) è un periodo di sette giorni di lutto nell’ebraismo che si osserva durante la prima settimana dopo il funerale di un parente. Dalla morte al giorno del funerale la prima preoccupazione è quella di prendersi cura del proprio caro estinto e di preparare la sepoltura.
Quando la shiva inizia, l’attenzione si riversa sui familiari e gli amici per dare loro supporto e amore, confortandoli e consolandoli.
Quest’attenzione è assolutamente evidenziata e moltiplicata per le anime che si trovano a varcare la soglia di quel piccolo spazio domestico, claustrofobico e morboso che è la casa in cui è ambientato il lungometraggio.
Quel luogo diventa un confessionale, una sede di pettegolezzi e giudizi affrettati soprattutto sui giovani di quella generazione, su cui sono puntati gli obiettivi, proiettate frustrazioni e ansie e di cui non si riesce a smettere di sparlare.
Protagonista della storia è proprio una di loro, Danielle, una studentessa che non ha ancora deciso quale sarà il suo futuro ma che nel frattempo si mantiene facendo la sugar baby, ovviamente di nascosto. Dal primo momento in cui mette piede in quella casa diventa lo spettacolo preferito di tutte le donne presenti, intente ad analizzarla fornendo interpretazioni fallaci e dettate solo da un’intrusione nell’altrui intimità.
Il costante riferimento alla sua presunta magrezza e il gesto reiterato di toccarle i fianchi per dar credito alla propria teoria, sono un ulteriore simbolo dell’invadenza che si è costretti a sopportare in determinati ambienti, talmente radicata da essere percepita come normale.
Mentre i presenti sparlano animatamente di tutto e di tutti, bocconi generosi accompagnano le loro mascelle, mentre si consuma il “pasto delle condoglianze”, pietanze portate dai parenti per i loro cari in lutto. Di tutto quel cibo, Danielle non riesce a mangiare nulla, vorrebbe ma non ce la fa, e tutto è accompagnato da un valzer di gesti dell’impossibilità.
Mangiare è il vero rito che accomuna tutti indistintamente e tiene insieme conversazioni e legami anche in un momento difficile. Il suo essere slegata dal resto non le consente nemmeno questo tipo di avvicinamento.
L’altro tipo di intrusione a cui dovrà tener testa sarà quella dell’uomo con cui intrattiene una relazione sessuale per denaro, il suo sugar daddy, che si presenta al rito con tanto di moglie e bambina di diciotto mesi.
Questa presenza è un ulteriore sconfinamento dei propri spazi personali, di quella che è la sua vita al di fuori di quel contesto che si scontra con la vita religiosa e familiare e la costringe a un difficile confronto costruito sui sensi di colpa. La presenza della propria ex, un’altra giovane donna plasmata da sguardi indiscreti, sarà una difficoltà aggiunta, un fatto irrisolto che deve ancora trovare soluzione e che sembra volersi spiegare proprio in quel momento preciso e complicato.
Danielle, che nella scena iniziale sembra una donna sicura di sé e della propria identità, man mano sbiadisce per mano dei familiari, involve in una ragazzina insicura e immatura, fino a farsi assorbire completamente da quella situazione bizzarra senza un minimo di volontà propria.
Tutta l’ansia delle situazioni che si vengono a creare unicamente nella casa e nei suoi dintorni è espressa da corde di violini impazziti che sembrano portare alla totale follia, a uno stato caotico in cui si mescolano melodie dissonanti.
Il risultato sarà un pasticcio assurdo e indefinito in chiave comica e grottesca, derivazione naturale di un contesto soffocante e della difficile condizione di certa gioventù che non riesce ad afferrarsi, consapevole della precarietà del futuro più prossimo.
Maria Cristiana Grimaldi
Vedi anche: UNORTHODOX: ricrearsi a propria immagine