Si può uccidere con uno “Swipe”? Il corto di Arafat Mazhar
Ci siamo mai chiesti se si può essere uccisi per blasfemia?
Beh, in Italia non è contemplata questa pena, ma in altri paesi, non molto lontani dal nostro, è una possibilità reale.
Alla terza serata di Ceci n’est pas un Blasphème, il Festival delle arti per la libertà di espressione, si è rivolto lo sguardo oltre i nostri confini, in particolare in Pakistan e sulle sue leggi riguardo la blasfemia.
Per comprendere in che modo questi reati possano costare per la vita delle persone accusate, è stato presentato il cortometraggio Swipe, del regista pakistano Arafat Mazhar e prodotto da Puffball.
Nel filmato viene presentato un ragazzo, Jugnu, dipendente, come il resto delle persone, da una nuova applicazione: IFatwa.
E fino a qui nulla di strano, se non fosse che, tale app, permette a chi “gioca” di decidere i destini dei condannati per motivi religiosi. Lo scopo è quello di uccidere con uno “swipe” più persone possibile, così da salire nella graduatoria virtuale per diventare un guerriero.
Non vi svelerò il finale, ma vi esorto a guardarlo.
Cerchiamo però di capire di più ed addentrarci nel vivo della vicenda con un primo quesito: cos’è la fatwa?
La parola significa “chiarimento”, “novità”, ma anche “consiglio” ed è una soluzione che viene data da un giudice musulmano riguardo problemi vissuti, in base alle leggi della Shari’a, infatti, il tribunale agisce categoricamente su ciò che c’è scritto sul Corano.
In Pakistan il reato di blasfemia è indicato nell’articolo 295c del codice penale e, in alcuni casi, prevede anche la condanna a morte. Questa legge è in vigore dal 1986 con il presidente Muhammad Zia- il- Hag.
I condannati vengono processati senza prove e con nessuna possibilità di difesa, quindi in base al “sentito dire” e, il paese, detiene il maggior numero di accuse per blasfemia (gran parte riferite a donne).
Il regista Arafat Mazhar, fondatore di Engage, un’istituzione per la ricerca e riforma delle leggi religiose in Pakistan, ha tentato di chiedere la revisione di questa disposizione per permettere ai presunti condannati una pena più lieve.
Attraverso i suoi studi e la raccolta di fonti importanti, potrebbe riuscire a provare l’inesattezza della legge per un’interpretazione errata e, quindi, abolire la pena di morte.
Il corto, disegnato a mano e doppiato dallo stesso regista, cerca di far aprire gli occhi sulla terribile crisi in Pakistan che infligge pene enormi e morte per i condannati di blasfemia, e mira a far comprendere la grande intolleranza religiosa del paese e la forte violenza generata da essa.
Martina Maiorano
Fonte immagini: animafest.hr, imdb.com
Recupera anche: Finissage (censurato) di Ceci n’est pas un blasphème.