Adolf prima di Hitler: l’opera che mette a nudo il Führer
Ieri sera, domenica 7 novembre, al Teatro Elicantropo di Napoli è andata in scena l’ultima replica dello spettacolo Adolf prima di Hitler di Antonio Mocciola, diretto da Diego Sommaripa e interpretato da Vincenzo Coppola, Francesco Barra e Gabriella Cerino.
Antonio Mocciola, prolifico drammaturgo, scrittore e giornalista, torna con un testo “audace”, come egli stesso autodefinisce il suo modo di fare teatro.
La sua è una drammaturgia originale, impegnata, riflessiva, acuta. Ancora una volta, affronta il tema, a lui caro, dell’omosessualità, oggi più che mai questione impellente della nostra società.
Sappiamo che i regimi dittatoriali sono per definizione contrari a qualsiasi forma di pensiero e di atteggiamento “divergente” dalla norma imposta e, quindi, anche all’omosessualità, la quale contravviene alla mitopoietica della virilità maschia dell’uomo forte in uno stato potente. Non è un mistero che nei campi di concentramento del Terzo Reich venissero deportati anche gli omosessuali.
Ma se l’artefice dello “omocausto” non avesse represso il suo orientamento omosessuale (come più testimonianze paiono confermare) il corso della storia sarebbe cambiato? Per dirla con un’espressione inglese What if…?
Sono le domande che Mocciola e Sommaripa si sono posti nella realizzazione della pièce ed è ciò che anche lo spettatore arriva a chiedersi al termine della performance.
L’opera teatrale trae infatti spunto dall’autobiografia The Young Hitler I knew, nella quale il direttore d’orchestra August Kubizek racconta della sua amicizia con Hitler durante il periodo adolescenziale, lasciando trapelare i retroscena di un rapporto ben più di intimo di quello tra due coinquilini. È un testo quasi introvabile, riportato a galla dalla scrittura di Antonio Mocciola, alla quale Diego Sommaripa ha dato corpo sul palcoscenico.
Siamo nella Vienna di inizio secolo, in un appartamento gelido e fatiscente in cui si intrecciano le aspirazioni e i fallimenti di due giovani vite, legate da un sincero sentimento che rimane inconcluso, avviluppato da spinte contrastanti e frenato da timorosi tentativi di repressione.
Si mette in scena un Adolf (incarnato da Vincenzo Coppola) inedito rispetto a quello che la storia ha consegnato all’immaginario collettivo: lo si smitizza, se ne mostra il lato umano e fragile, scavando alla ricerca delle origini del male che poi avrebbero portato alla costituzione del “mostro”.
Vediamo dunque un adolescente smunto e malaticcio, segnato dalla perdita della cara madre e dalle deludenti velleità artistiche, destinate a naufragare dinanzi ai rifiuti da parte dell’Accademia di Belle Arti. Nella più completa miseria economica e di affetti, l’unico spiraglio di luce è l’amico August (Francesco Barra) che lo porta a vivere con sé, pagando anche la sua parte di affitto. Due personalità opposte e complementari che si respingono e si riconciliano nelle premure e nell’amore manifesto di Kubizek e nelle gelosie e nell’amore occulto e rinnegato di Hitler.
Trapela l’interesse politico del futuro Führer, l’insinuarsi progressivo delle sue follie ideologiche. L’odio razziale, in special modo verso gli ebrei, trova un antecedente e un rinvigorimento nella figura della subdola locataria, la signora Zakreys (Gabriella Cerino), la quale si fa simbolo del malumore antisemita che già andava dilagando prima del genocidio.
La scelta registica di Adolf prima di Hitler sembra essere improntata alla semplicità. Una semplicità che garantisce la riuscita dello spettacolo, restituendo la dimensione intimistica della vicenda. Questo tipo di costruzione, favorito dall’atmosfera raccolta data dalle piccole dimensioni dell’Elicantropo, fa sì che lo spettatore si senta coinvolto in prima persona, partecipe di quanto si svolge davanti ai suoi occhi.
La scena è scarna, costituita da pochi e semplici oggetti. È essenziale, proprio come il numero e la recitazione degli attori, perlopiù fondata sugli sguardi, sui gesti monchi e violenti, sui non detti dall’inaudita forza espressiva. È “povera” come i vestiti dei personaggi, nuda come i loro corpi e i loro moti interiori – padroni assoluti della scena – quando sono l’uno di fronte all’altro, almeno finché riescono ancora a decifrarsi e a comprendersi, nonostante le frizioni.
I rumori, le musiche e due separé danno l’idea del fuori, di tutto ciò che avviene al di là dello spazio domestico, l’unico habitat in cui il rapporto tra i due trova completamento. L’appartamento si fa al contempo spazio della coscienza, nel quale Kubizek sembra fare le veci del grillo parlante. Tra le mura di un’abitazione logora prende avvio e forma la storia. L’impotenza fisica, emotiva, economica e sociale che viene messa in scena si trasformerò poi nel delirio di onnipotenza del dittatore.
Adolf prima di Hitler è costituito da pochi elementi perfettamente orchestrati tra loro. Funzionale alla resa scenica delle pulsioni opposte che sconquassavano l’animo del giovane Adolf Hitler, è inoltre la scelta di giocare con i contrasti tra luci e ombre.
La semplicità è l’ingrediente segreto di questo spettacolo teatrale, perché dimostra che un gruppo di professionisti competenti non ha bisogno di orpelli sensazionalistici per produrre arte e per suscitare emozioni e riflessioni nel proprio pubblico.
La brillante scrittura di Antonio Mocciola, mai banale e fatua, viene esaltata dalla cura meticolosa del regista Diego Sommaripa e dal talento degli attori (quando si dice pochi, ma buoni!).
Adolf prima di Hitler si pone come prequel del dramma storico, come punto di incontro tra la vicenda individuale e quella collettiva.
Chissà, forse sarebbero stati sufficienti un bacio, una carezza e una gentilezza in più per cambiare le sorti del mondo.
Giusy D’Elia
Photo credits Giovanni Allocca
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