È possibile comprendere la gelosia?
Siete in grado di distinguere la gelosia morbosa da un vero e proprio delirio?
Esiste una personalità incline alla gelosia? Oppure è un pregiudizio culturale?
Ci sono alcune storie che ci aiutano a capire.
L’attico centrale del Museo del Prado si staglia circondato dalle colonne tuscaniche. L’androne è sontuoso. La mano di lui stringe quella della compagna. Le bretelle leggermente abbassate lasciano nuda la schiena femminile. Tra le pareti in marmo si intravede la Maja Desnuda, fiocamente illuminata. Lui scatta una foto: sullo sfondo la Maja, al centro dell’obiettivo l’amante dalle spalle scoperte.
Sembra un’istantanea di un film di Truffaut o una classica storia da Art influencer. E invece…
È l’inizio del delirio di gelosia. Si, perché la foto è solo l’innesco. L’uomo rimane folgorato dal quadro e da quel momento in poi dichiarerà di aver visto la compagna, in quella posizione, con altri uomini. L’accuserà di averlo tradito con centinaia di persone, compreso il padre. Verrà denunciato innumerevoli volte per calunnia e passerà il resto dei suoi giorni in una clinica psichiatrica. Lì, proverà a suicidarsi quando la compagna riuscirà a ottenere il divorzio.
Parliamo di delirio? Ossessione o costrutto culturale?
Sgombriamo il campo da fraintendimenti. La gelosia, a piccole dosi, l’abbiamo sperimentata un po’ tutti. Ricordate la persona che vi piaceva tanto, ma proprio tanto, quando rispondeva ai messaggi del vostro amico e voi, imbronciati, speravate in qualche intervento divino?
Forse, per questo disprezziamo scene di gelosia patetiche come quelle di Skyler White o di Dawson Leery: sono catartiche.
Ma la gelosia non nasce nei banchi scolastici ma insieme all’essere umano, un milione di anni fa, nelle pianure africane. È legata al timore di dover allevare figli illegittimi, di ritrovarsi senza cibo e abbandonati per una fuga d’amore. Più che a una passione, insomma, la gelosia andrebbe ricondotta all’esigenza di preservare la specie.
Un racconto più suggestivo emerge dalla tradizione letteraria. Basti pensare, all’uccisione di Abele per mano di Caino, o la caccia di Saul a Davide. Persino il Dio dell’Antico Testamento è geloso, al punto da vietare di essere rappresentato in immagini, statue e ogni sorta di raffigurazione.
Desideriamo amare in modo incondizionato e incondizionatamente vogliamo essere amati.
Nei racconti biblici e nella mitologia, la gelosia si confonde con l’invidia. Si parla per l’appunto, di invidia degli dèi. Ma la linea di confine è netta. La gelosia rimanda al desiderio bramoso di preservare ciò che è percepito come proprio, si ha il timore che ci venga sottratto. È come desiderare di essere il desiderio dell’altro.
Al contrario, l’invidia è rivolto ai beni materiali, alle persone, alla vita degli altri. Costruisce una relazione diadica mentre la gelosia traduce, a suo modo, una philia e richiede una relazione triadica: presuppone il riconoscimento della comunità. Non può soffrire di gelosia chi sia indifferente agli altri esseri umani. Ed è per questo che spesso si incarna in figure tragiche e appassionate come la vendicativa Era. Tramuta nella nutrice di uno dei figli di Zeus lo induce a manifestarsi come Dio del fulmine causando, così, la morte dello stesso figlio. La gelosia è nell’antichità la più umana delle passioni.
Nella stagione moderna, però, cambia di segno, e di genere. Si tramuta nel disagio dell’uomo e incarna il mal de vivre. Non è un caso che maschile sia il più noto volto della gelosia moderna: l’Otello shakespeariano. Il palcoscenico diventa l’interiorità. Il protagonista non agisce su effettivi tradimenti ma è vittima di se stesso, o, come afferma Iago, di quel mostro che dileggio il cibo di cui si nutre. Le grandi eroine del passato lasciano il posto a uomini gelosi e furiosi. La gelosia delirante diviene segno universale di una soggettività fragile, di spettri spaventosi che abitano la mente.
Non è più passione ma perdita di controllo su una realtà. Nel momento delirante si esprime una vera e propria frattura tra soggetto e mondo. È l’annuncio dell’inferno sartriano: una distonia tra la logica del soggetto e gli accadimenti della quotidianità. Si perde interesse nel proprio lavoro, nelle relazioni familiari e perfino nel tempo libero. La gelosia diviene psicopatologia.
Torniamo all’uomo della Maja Desunda per un attimo. Come si manifesta il delirio di gelosia?
L’uomo comincerà con i falsi ricordi: le avances della compagna a qualunque individuo, persino il portiere di casa. Poi le farneticazioni: le accuse irrazionali rivolte a sconosciuti. Infine, percezioni illusorie: il sospetto infondato, la cospirazione ordita dalla compagna per farlo rinchiudere in manicomio.
Una domanda sorge spontanea: la gelosia è prodotta da un evento scatenante? O è un tratto costitutivo della personalità di un individuo?
Non esiste una risposta netta. Eppure, come afferma il filosofo e medico Karl Jasper, è improduttivo associare la vita psichica a categorie prestabilite, sganciate dall’uomo in carne e ossa. Ciò che conta è sottolineare che non tutti i deliri di gelosia sono uguali.
Da un lato c’è la gelosia morbosa che ha un fine, si ingrandisce in modo lento e, dunque, può essere quanto meno compresa da un terapeuta. Dall’altro c’è il delirio di gelosia, un processo abnorme che interrompe il flusso della personalità precedente. Interviene in maniera unica e isolata. In questo caso la comprensione è impensabile, e il mondo del paziente è difficilmente empatizzabile e razionalizzabile.
La gelosia ci accomuna tutti. Non abbiate paura, fa parte delle passioni umane e probabilmente non smetterà di cambiare forma e aspetto. Se siete una personalità gelosa, una via di fuga esiste. Inspirate ed espirate. Donate del tempo a voi stessi, e smettetela di scrollare la chat per quel messaggio che, in fondo, sapete benissimo che vi farà inutilmente del male.
Luigi Celardo
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