La “blue economy” può salvare il pianeta?
I dibattiti degli ultimi anni sullo sfruttamento delle risorse naturali e il cambiamento climatico hanno portato diverse questioni sul tavolo dell’ONU.
Ecco una proposta “a zero emissioni”.
L’Agenda elaborata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite ha previsto 17 Goal (ovvero obiettivi) da raggiungere entro il 2030. Lo “sviluppo sostenibile” si trova al centro del programma delle 193 nazioni che fanno parte del gruppo. Con esso non si intende solo l’azzeramento della fame, della povertà, ma anche la capacità di cambiare le sorti del climate change, una questione sempre più presente (finalmente) nei dibattiti pubblici e politici.
Le indubbie ripercussioni dell’azione dell’uomo sui cambiamenti climatici e l’impatto che essi potrebbero avere in un futuro non troppo lontano, hanno portato negli ultimi anni a diversi cambiamenti, nell’intento comune da parte delle aziende di ridurre le emissioni di CO2.
La green economy, di cui tanto si parla, prevede proprio questo: diminuire in maniera significativa le emissioni di anidride carbonica, attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili e la creazione di prodotti “sostenibili”.
Ma c’è un modo per portare questo livello allo zero assoluto?
Una risposta affermativa è stata data nel 2009 dall’economista belga Gunter Pauli, che ha elaborato un modello di sviluppo economico definito blue economy. La disciplina scientifica che ha ispirato Pauli è la biomimesi: poco conosciuta, si basa sull’osservazione della flora e della fauna per trovare soluzioni utili da applicare alle attività umane. Con un impatto zero sull’ambiente, la blue economy punta sull’innovazione e sulla condivisione delle conoscenze. Grazie a industrie che utilizzano sostanze già presenti in natura, sarà possibile effettuare minori investimenti, creare più posti di lavoro e ottenere maggiori profitti.
Come il nome stesso suggerisce, una delle risorse più importanti da utilizzare secondo questo modello è il mare, che ogni anno dà lavoro a milioni di persone. La blue economy vuole sfruttare al meglio i mezzi a disposizione (navi, aerei, treni) per trasportare merci, seguendo le loro specificità e riducendo, di conseguenza, l’impatto ambientale. La via marittima è in tal senso privilegiata.
L’Italia, inoltre, è uno dei paesi più all’avanguardia circa l’applicazione di questo modello economico. Basti pensare al Distretto Unico (che ha coinvolto anche altri paesi del Mediterraneo): un sistema non solo di produzione, ma di responsabilità nel preservare le risorse costiere nell’industria agroalimentare e nella pesca commerciale, dialogando e condividendo esperienze con diverse nazioni.
Sarà la blue economy a salvarci dal cambiamento climatico? Possibile. Ma solo la capacità di adattarsi a questo sistema (e ad altri sistemi sostenibili) da parte delle economie nazionali potrà portare ad un cambiamento significativo.
Elena Di Girolamo
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