Mulholland Drive, in bilico tra realtà e finzione
Dal 15 novembre è tornato al cinema Mulholland Drive, uno dei più grandi capolavori del cinema postmoderno, written and directed by David Lynch, restaurato in 4k e in versione originale.
È quello che recita il mago del Club Silencio, in uno spettacolo notturno al quale Rita trascina Betty. La scena la troviamo a film già inoltrato, ma è la chiave di tutto. È il senso di Mulholland Drive e, in generale, dei film di David Lynch.
È tutta un’illusione. Eppure, in quest’illusione un senso lo troviamo e sbaglia chi dice che è da sciocchi tentare di trovare un “filo di Arianna” all’interno dei film di Lynch. Il filo c’è, eccome, ma non è l’elemento principale delle opere complesse e altamente oniriche di Lynch. Ma andiamo con ordine.
Mulholland Drive è una strada di Los Angeles, città in cui arriva Betty, protagonista del film, per tentare di fare fortuna come attrice. Quella strada è la fine e l’inizio di ogni cosa, del sogno e della realtà.
Possiamo dividere il film in tre parti principali, una che rappresenta il sogno, una che rappresenta l’illusione e l’altra che rappresenta la realtà. La prima parte, quella che sembra scorrere in maniera lineare, fluida, anche piuttosto comprensibile, è in realtà il sogno, quello di Betty. Un sogno piuttosto lungo, dato che occupa i primi novanta minuti del film, mentre la parte che rappresenta la realtà viene condensata tutta negli ultimi trenta minuti.
Per provare a capire bene il senso di questo film bisogna pensare alla prima parte come ad un rovesciamento della seconda: Betty arriva a Los Angeles e trova una donna in casa sua. La donna, reduce di un incidente stradale, è preda di un’amnesia e non ricorda nemmeno il suo nome, motivo per cui decide di farsi chiamare Rita.
Betty decide di aiutarla a recuperare la memoria e, nel frattempo, partecipa ad un provino dove le sue doti da attrice vengono acclamate e accolte con entusiasmo.
Nei suoi tentativi di recuperare la memoria, a Rita balza subito un nome in mente: Diane Selwyn. Le due donne risalgono all’indirizzo dell’abitazione di Diane e, dopo essersi dirette lì, si ritrovano davanti ad una scena agghiacciante: nella camera da letto di una casa completamente abbandonata e lasciata all’incuria, trovano il cadavere, già in via di putrefazione, di una donna.
Tornate a casa, dopo un sonno brusco, Rita trascina Betty, in piena notte, al club Silencio, dove si svolge lo spettacolo di un mago che spiega che si tratta solo e unicamente di una illusione.
È da questo punto in poi che la trama si complica e comincia a diventare tutto più confuso e sfumato. Durante l’esibizione, Betty sembra essere preda di convulsioni e trema violentemente. Dopodiché, a fine spettacolo, dal nulla tira fuori dalla sua borsa una particolare chiave blu, che rimanda alla scatoletta blu nella borsa di Rita e della quale la donna, dopo aver perso la memoria, non ricordava nulla.
Entrambe si dirigono a casa e, dopo aver preso la scatola blu dalla borsa di Rita, la donna fa per infilare la chiave, ma si accorge che Betty non è più accanto a lei. È scomparsa improvvisamente. Rita, comunque, decide di aprire la scatola e, una volta aperta, l’inquadratura ci mostra la scatola che cade sul pavimento e nessun segno delle due donne.
Lo spettatore sa, in quel preciso istante, che qualcosa è cambiato. Sa che dev’essere successo qualcosa e, infatti, qualcosa è successo. La prima parte, quella del sogno, è terminata e ci ritroviamo catapultati nella realtà, senza rendercene subito conto.
Betty adesso è Diane Selwyn, mentre Rita è Camilla Rhodes. Diane è, anche nella realtà, una donna che tenta la fortuna come attrice a Los Angeles. Solo che, a differenza di quanto accade nel sogno, dove tutti si complimentano con lei per le sue doti, nella realtà Diane non riesce ad affermarsi e, anzi, fallisce totalmente. Conosce Camilla proprio sul set di un film, dove entrambe tentano l’audizione per ottenere la parte della protagonista. Parte che otterrà Camilla, mentre Diane verrà scartata. Le due diventeranno amiche prima e amanti poi e Diane riuscirà ad ottenere solo parti inferiori in alcuni film e solo grazie all’aiuto di Camilla.
Diane è follemente innamorata di Camilla, la quale si innamora e, in seguito, si sposerà col regista del film, Adam. Anche la costruzione di questo personaggio non è da tralasciare per comprendere bene il film: nel sogno di Diane, infatti, Adam è un regista fallito, un mentecatto incapace di lavorare, né di amare sua moglie che, infatti, lo tradisce senza provare il minimo rimorso. Nella realtà, invece, è un regista famoso, affermato, rispettato e… innamorato di Camilla.
Il perfetto nemico di Diane. Non c’è da stupirsi, quindi, se nel suo sogno la donna abbia deciso di ricostruirlo in un modo così negativo. Le ha portato via la donna che amava e, a causa della sua estrema gelosia, Diane arriva addirittura a commissionare l’omicidio di Camilla.
Ed è qui che si comprende meglio la scena iniziale dell’incidente stradale. Diane, in preda ai sensi di colpa, decide di addormentarsi e di rifugiarsi nel suo sogno, dove avrebbe potuto far andare le cose come ha sempre desiderato. Questo, seguendo l’ordine cronologico, è il momento in cui inizia il sogno di Diane, ovvero la prima parte del film.
Ma, arrivati a questo punto, ci rendiamo conto che nemmeno nel sogno Diane riesce davvero a gestire la situazione come vorrebbe. Il suo subconscio, infatti, emerge tramite piccoli dettagli: il primo si ha proprio nel momento in cui Rita fa il nome di Diane Selwyn.
Anche sognando, Rita è divorata dai sensi di colpa, da una realtà troppo opprimente. E così arriviamo alla scena in cui la scatola blu cade dalle mani di Rita. Il sogno è finito, Diane si sveglia e, incapace di gestire i rimorsi, si toglie la vita sul suo letto (lì dove era stata ritrovata, nel sogno, da Rita e Betty).
È un film complesso, per nulla facile da digerire, dove la trama c’è, ma non è l’elemento più importante. Dalle luci, alle inquadrature, ai suoni, alle musiche, ai silenzi: tutto concorre a rendere i film di Lynch estremamente complessi, interpretativi, perché è questo quello che il regista vuole. Lo spettatore dev’essere parte attiva del processo interpretativo, non deve assimilare concetti e idee in maniera passiva, deve riflettere, supporre, ragionare, analizzare.
Questo è il cinema per Lynch.
Anna Illiano
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