Strappare lungo i bordi: Zerocalcare e l’Odissea dell’uomo contemporaneo
È arrivata su Netflix Strappare lungo i bordi, la prima e imperdibile serie animata di Zerocalcare.
È da tempo che mi chiedo, magari ingiustamente chissà, perché pago un abbonamento a Netflix se poi alla fine le serie che seguo sono arenate in un limbo produttivo che ti regala solo incertezza e mai concrete speranze; se l’offerta della piattaforma italiana è il bidone della spazzatura della filmografia spagnola, se i doppiaggi sono quello che sono, se l’unica cosa a cui ultimamente ci si è potuti aggrappare è il documentario di una disgraziata che risponde al nome di Britney Spears.
Poi ad un tratto un’epifania, una luce infondo al tunnel, una cima a cui aggrapparsi: Strappare lungo i bordi, la prima serie animata firmata Zerocalcare per Netflix. Annunciata ormai più di un anno fa, anticipata da una serie infinita di teaser che non facevano altro che inasprire l’attesa, desiderata, aspettata, e finalmente arrivata su Netflix.
Zerocalcare ci aveva già dato qualche assaggio di cosa potevano essere i suoi fumetti se si fossero trasformati in una serie animata con Rebibbia quarantine: una manciata di episodi che hanno accompagnato, con la solita cruda e asciutta ironia di Zerocalcare, il primo, unico e vero lockdown.
E allora il pubblico affezionato di Zerocalcare ha aspettato Strappare lungo i bordi come si aspettano i regali di natale, un bonifico, lo stipendio, i baci perugina a San Valentino. Lo abbiamo atteso come qualcosa che sapevamo con certezza ci sarebbe piaciuto.
E in effetti Michele Rech, in arte Zerocalcare, non ci ha deluso, non avrebbe comunque potuto e non lo ha fatto. Con le 6 brevi puntate di Strappare lungo i bordi, Zerocalcare ci regala una perla dell’animazione, un prodotto corale come ci ha tenuto a specificare la sua maniacale umiltà, ma anche un racconto personale e generazionale insieme.
Zerocalcare in questa serie animata ci offre un racconto biografico dettagliato, diacronico, che va dall’infanzia, all’adolescenza fino all’età della ragione, alla maturità: eppure in questo racconto si delinea a poco a poco l’istantanea sempre più chiara e nitida di un momento storico, di una generazione, di una società: la nostra, la mia, quella che ha scoperto le falle del capitalismo e le sta scontando sulla sua pelle.
Il pretesto è il suicidio di Alice, amica di infanzia, con cui un giovane ed emotivamente impreparato Zerocalcare intesse per anni una relazione incerta, senza precisi contorni, un rapporto che non è un’amicizia ma non è neanche un amore. Alice è morta e i suoi amici storici, Zeroclacare, Sarah e Secco sono diretti a Biella per i suoi funerali. Da questo filone narrativo si dipanano le mille peripezie del racconto biografico di Zerocalcare, di cui lo stesso Zero è protagonista, autore, voce narrante.
Si apre, dunque, un’Odissea che è personale e al contempo umana: l’Odissea di chi è cresciuto con l’idea che la vita fosse uno di quei disegni da ritagliare lungo i bordi: seguendo attentamente la linea tratteggiata non si può sbagliare, non si può mancare l’obiettivo.
Ma se ad un tratto ci si accorge che la propria vita non ha un obiettivo? O se ci si rende conto che pur seguendo con puntuale attenzione quella linea tratteggiata non si arriva dove si sperava? La consapevolezza diventa allora agghiacciante, paralizzante, diventa un mostro fatto di frustrazione e insoddisfazione con il quale convivere e, in questa giungla arida e severa, chi è felice è complice.
A stigmatizzare con fredda e cinica puntualità questa congenita inadeguatezza a vivere, questa inettitudine personale e generazionale, questa totale incapacità di trovare il proprio posto nel mondo è la coscienza stessa di Zero, che ha le sembianza di un Armadillo e la voce inconfondibile di Valerio Mastrandrea.
Nonostante questo resoconto appaia quanto di più agghiacciante un trentenne possa immaginare, Strappare lungo i bordi è la cosa più piacevole, più preziosa e appagante che possiate concedervi in un pomeriggio: l’ironia di Zerocalcare, mai banale e sempre sorprendentemente intrisa di cultura, è una lente che restituisce un’immagine della realtà mai distorta, mai ingrandita o esacerbata, ma semplicemente più lieve, più facile da tollerare.
L’arido vero si diluisce in quel marcato romanesco e in quella malinconia inguaribile e languida che sono la cifra stilistica di Zerocalcare. E allora anche le disavventure di un giovane disadattato, anche il vuoto esistenziale di una generazione, persino la morte, il suicidio, un funerale sembrano qualcosa di leggero, seppur amaro.
Alla prossima ragazzi: vado a riguardare Strappare lungo i bordi!
Valentina Siano
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