Che fatica morire nell’antico Egitto
Piramidi: tombe sfarzose e decorazioni preziose.
Insomma, se si parla di morte, gli Egizi sono imbattibili.
Questo popolo così intelligente e all’avanguardia, ci ha lasciato meravigliosi monumenti funerari dai quali possiamo ammirare le usanze e il culto della morte nell’antico Egitto. Ovviamente tutti sappiamo le tecniche di sepoltura proprie della cultura egizia, ma oggi vi svelerò qualche novità al riguardo che forse vi è sfuggita.
Per gli Egizi era essenziale accompagnare il defunto nel meraviglioso viaggio ultraterreno che lo aspettava. Essi credevano che il corpo fosse costituito da tre parti fondamentali: ba (anima), ka (forza vitale) e aj (forza divina).
Per ottenere la vita dopo la morte era necessario mantenere intatto il ka, e così si ricorreva alla tecnica della mummificazione.
Questa avveniva in maniera diversa in base alla classe sociale del defunto.
Prima di tutto i sacerdoti esperti estraevano gli organi vitali intatti (tranne il cuore), per non creare danno durante la discesa nell’aldilà del defunto. Le viscere venivano sistemate in appositi vasi, detti Vasi Canopi, e posti nella tomba successivamente.
Il corpo svuotato era immerso per 40 giorni nel natron, un sale naturale proveniente dal Nilo, poi lavato con vino di palma per combattere i batteri, riempito di bende e avvolto con strisce di lino con su scritte formule magiche.
Questa procedura durava circa 70 giorni e riusciva a far aderire i tessuti al corpo in modo tale che questo si conservasse in maniera eccellente.
Passiamo alla parte spirituale.
Una volta finito il procedimento, iniziava il viaggio del defunto. Questo era condotto da Anubi, il dio dei morti, nel Duat, precisamente nella sala delle due Verità, al cospetto di Osiride e 42 giudici. Qui avveniva la pesatura del cuore tramite il dio degli scribi Thot. Se il cuore pesava più di una piuma, allora il morto sarebbe stato divorato dal mostro Ammit, metà ippopotamo e metà leonessa, in caso contrario aveva il permesso di entrare nel regno di Osiride per raggiungere i Campi di Laru, una sorta di Paradiso.
Ovviamente non era tutto così semplice, infatti l’anima doveva superare molti ostacoli prima di giungere lì: oltrepassare il lago infuocato sulla barca del dio Ra, affrontare mostri, coccodrilli e serpenti.
Insomma, il povero defunto doveva proprio guadagnarsela la vita ultraterrena.
Tutte queste peripezie però erano superate grazie all’aiuto delle formule magiche e degli amuleti che i sacerdoti avevano posizionato tra le bende di lino del corpo.
Abbiamo già detto a cosa servissero le frasi citate e scritte durante il rito funebre, ma precisamente da dove venivano riprese?
È risaputo che in Egitto la religione andava di pari passo con la magia, questa era connessa alla parola infatti pronunciare una formula equivaleva all’azione della creazione, così parlare e creare si riferivano allo stesso atto.
Tali frasi pronunciate durante la mummificazione erano contenute nel Libro dei morti, un testo funerario egizio scritto da vari sacerdoti e utilizzato fino al I secolo a.C.
Questo si componeva di citazioni magiche che dovevano aiutare il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà.
Il libro prese forma a Tebe intorno al 1799/1650 a.C. e venne trascritto su rotoli di papiro indicando le insidie del viaggio per arrivare ai Campi di Laru.
Beh, sebbene tutto ciò ci porta a dedurre l’ammirazione per i culti funebri degli egizi, in realtà loro negavano la morte perché ritenevano che la vita continuasse nell’aldilà e soprattutto che l’anima dovesse guadagnarsi il benessere ultraterreno superando molti ostacoli.
In ogni caso, grazie alla tecnica della mummificazione, sono riusciti a tramandarci corpi quasi intatti fino ad oggi affinché possiamo studiarli più da vicino per scoprire la meravigliosa cultura dell’antico Egitto.
Martina Maiorano
Illustrazione di Vincenza Topo
Vedi anche: Educare alla morte con la tanatologia