Perché i vaccini fanno così paura?
Dal miracolo al rifiuto totale: ecco un breve resoconto su come è stata generata la sfiducia nei confronti dei vaccini.
Dopo l’aumento dei contagi in molti paesi d’Europa e le ipotesi sull’adozione di nuove misure restrittive per chi non possiede il green-pass, sembra da folli non vaccinarsi.
Eppure non è semplice “ignoranza” quella che porta molte persone a non avere fiducia nei medici e nella comunità scientifica. La storia del vaccino (non solo quello per il Covid) ha radici più complesse.
Si parte con un miracolo, quello che sconfisse un nemico temutissimo negli anni ’50 del Novecento: la poliomelite, una malattia che colpiva anche molti bambini portandoli in molti casi alla paralisi, fu debellata proprio grazie alla messa a punto di un vaccino. In pochi oggi ricordano quanto fosse devastante l’epidemia di polio, che non risparmiava nemmeno i paesi più ricchi. Ebbe un’importanza così grande che le chiese degli Stati Uniti suonarono a festa quando arrivò il farmaco che la sconfisse.
Le persone, allora, avevano fiducia nella scienza, ma non perché fossero a conoscenza di come funzionassero i vaccini, né di come questi venissero creati. Semplicemente era ancora vivo il ricordo di malattie terribili e c’era la riprova sociale a sostegno della inoculazione di questi farmaci: tutti vaccinavano i propri figli, per cui sembrava la cosa giusta da fare.
Con il passare degli anni, però, il ricordo delle epidemie del passato è svanito. Soprattutto le nuove generazioni non le hanno mai conosciute. Ma potremmo stabilire addirittura una data di inizio di questa sfiducia nei confronti del vaccino, che subì una vera e propria gogna mediatica. Il 28 febbraio 1998, nel corso di una conferenza stampa, il medico inglese Andrew Wakefield avanzò l’ipotesi che la vaccinazione trivalente potesse causare l’insorgenza di autismo. L’annuncio ebbe un’eco enorme sui media, e milioni di genitori si spaventarono a morte.
Spesso l’insorgenza dell’autismo veniva notata nello stesso periodo in cui veniva fatta la vaccinazione (circa due o tre anni), e questo portò le persone a vedere un nesso di causalità fra le due cose: se l’autismo si manifesta poco dopo la vaccinazione, allora il vaccino deve esserne stato la causa. Si tratta di un vero e proprio bias cognitivo, cioè di una distorsione nel nostro modo di interpretare il mondo e prendere decisioni. Nel caso di questi genitori spaventati, è stato determinante il bias di conferma, ovvero l’istinto a cercare, a credere a informazioni che confermano una nostra convinzione, anche quando poco plausibile.
Le ipotesi sulla connessione con l’autismo furono smentite nel 2004, quando il giornalista Brian Deer cominciò a pubblicare sul Sunday Times una serie di articoli nei quali svelava che quella di Wakefield era stata in realtà una truffa: i dati del suo studio erano stati inventati: Wakefield era pagato da uno studio legale che intendeva promuovere una causa contro le case produttrici del vaccino. In più, il medico stesso voleva guadagnarci, avendo messo a punto un vaccino monovalente da proporre al mercato.
Lo scandalo fu grande, ma non abbastanza grande per diversi genitori, che hanno continuato a non far vaccinare i figli. Perché? Per via della dissonanza cognitiva: quando una nostra forte convinzione viene messa in dubbio, spesso prendiamo questo fatto come un attacco verso di noi, e la nostra mente si mette alla ricerca di elementi, anche palesemente assurdi, che possano difenderci.
In molti casi, svelare la bufala si rivela addirittura controproducente per via dell’effetto backfire, che ci spinge a rafforzare le nostre convinzioni sbagliate, quando le sentiamo minacciate.
Le accuse inizialmente rivolte solo al vaccino trivalente si sono poi estese a tutti i vaccini, nonché farmaci comunemente prescritti e terapie mediche. Dopo la pandemia da Covid-19 vediamo tutto ciò quotidianamente, quando leggiamo post sui social di fantomatici complotti tra case farmaceutiche, quando sentiamo di scienziati, medici e autorità sanitarie di tutto il mondo che avrebbero creato il virus in laboratorio, quando qualcuno ci parla di dittatura sanitaria e chip inoculati tramite iniezione.
Non scandalizziamoci troppo. Esiste una psicologia del rifiuto dei vaccini, il progresso stesso è stato parte integrante di questa evoluzione in negativo. Ma questi bias, questi difetti nel modo di percepire ciò che ci circonda, sono quotidianamente smentiti dai numeri delle persone nelle terapie intensive, dal confronto coi numeri dello scorso anno, dalla crescente fiducia nel fatto che (presto) potremo tornare a baciarci ed abbracciarci, senza gel igienizzante e mascherina.
Elena Di Girolamo
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