Vis-à-vis con le quote di genere
L’articolo 51 della Costituzione prevede che «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», ma dal momento che questo non succedeva, nel 2003 è stato aggiunto «a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini»!
E quali sono i provvedimenti in questione?
Ovviamente, le “quote rosa”, nome fastidioso e un po’ ridicolo con cui ci riferiamo a quelle che sono le “quote di genere”. Con il nome corretto si aggiusta anche il concetto: parliamo di parità di genere e non di protezione della specie umana femminile. È poi un dato di fatto che le quote siano state pensate per garantire la rappresentatività delle donne nelle sedi istituzionali e, dal 2012, anche nei consigli amministrativi delle aziende quotate.
L’Italia, e non sorprende, è arrivata un po’ più tardi degli altri paesi: in Francia si parlava di quote di genere in ambito politico già negli anni ’90, ma anche in Spagna, Belgio, Portogallo, Grecia e così via. Ma la legge, per fortuna, prima o poi è arrivata e oggi c’è anche nel nostro paese, motivo per non disperare, anzi! Eppure, queste quote non convincono tutti.
I diffidenti percepiscono nel provvedimento di genere un’agevolazione che in qualche modo metterebbe da parte la meritocrazia, assegnando posizioni lavorative prescindendo da capacità e intelligenza dell’individuo. C’è chi lo interpreta come un’offesa, quasi come fosse un’ulteriore discriminazione. E l’aria discriminatoria, in effetti, le quote rosa ce l’hanno. O no? No.
Non sono le quote ad avere qualcosa che non va: semplicemente esse mettono in luce quello che di sbagliato già c’è, cioè una profonda disparità di genere!
Se sono così discusse e non accettate in serenità è perché, chiamandole in causa, si va a toccare un tema ancora troppo acerbo, ancora non abbastanza stressato. Di conseguenza, se ci fa rabbrividire discutere di uguaglianza tra uomo e donna nel nostro secolo, vuol dire che non se n’è parlato a sufficienza, che le orecchie di chi non vuol sentire devono sanguinare ancora a lungo.
Il principio alla base delle quote di genere sta nella necessità di porre sullo stesso piano chi si trova su due scalini diversi. A collocarsi più in alto sono, statisticamente, sempre gli uomini: e in questo sta la discriminazione.
Parliamo di posti che spontaneamente non saranno mai ceduti, privilegi di cui nessuno vorrà privarsi. E, soprattutto, chi sta sopra non abbassa lo sguardo: le quote di genere sono utili, prima di ogni altra cosa, a catalizzare l’attenzione di tutti su un problema vissuto solo da una parte.
Non si tratta di portare in alto le donne o favorirle in qualche modo, perché è evidente che la disparità non debba essere accettata neppure quando ad essere in minoranza è il sesso maschile. Questo, però, non può e non deve mascherare la situazione di inferiorità che le donne concretamente e oggettivamente devono affrontare, nel nostro paese e nel mondo.
Le quote di genere possono costituire un potente strumento finalizzato alla consapevolezza collettiva di un disagio.
Nessuno vorrebbe ricevere sostegno per ottenere ciò che di diritto gli spetterebbe. Ma se il diritto resta una facciata per occultare il marcio, allora bisogna lottare, in ogni modo e con ogni mezzo.
Alcuni studi scientifici ritengono che la parità tra i sessi si otterrà tra circa 100 anni: darci una mossa non sarebbe male.
Maria Paola Buonomo
Vedi anche: Are you assuming my gender?