E forse non lo sai, ma sei affetto da flânerie
Pur trattandosi di una condizione che ci si impone coscientemente, spesso non è così facile da riconoscere.
Il primo sintomo è la curiosità.
Siamo sicuri che non ci sia mai capitato di soffrire di flânerie?
Il dizionario italiano Garzanti offre due definizioni simili del termine francese. La prima consiste in “andare a zonzo, bighellonare”; mentre la seconda in “gingillarsi, perdere tempo”. In entrambi i casi, l’idea è la stessa: abbandonarsi senza impegno.
Il fenomeno non è recente. Già nel 1800 il termine flâneur era stato reso celebre dal poeta simbolista Charles Baudelaire, per rappresentare un uomo, spesso nobile, che vagava senza meta e senza fretta per le vie della città, abbandonandosi a nuove direzioni e alla contemplazione del paesaggio e lasciandosi coinvolgere dalle sensazioni che questo girovagare poteva generare.
Ovviamente si trattava di un’attività assolutamente non redditizia e priva di una finalità etica o morale e che, dunque, in pochi potevano concedersi. I lavoratori, i poveri e le donne ne erano esclusi. Erano liberi di dedicarsene, invece, i nobili, senza dubbio uomini, spesso artisti o poeti. Lo scenario prediletto era quello delle vie parigine, il cui ambiente avrebbe permesso una contemplazione non affrettata degli antichi edifici, delle affollate vie, dei frastuoni e dei colori del centro.
Ora i tempi sono cambiati e anche un fenomeno elitario come poteva apparire quello della flânerie ha finito per incontrare i gusti dei più. Nella collana “Piccola filosofia di viaggio”, edita da edicicloeditore nel 2018, il giornalista e scrittore Roberto Carvelli descrive l’arte del “flanare”: la gioia del vagare senza meta. Non fornisce regole, ma piccoli esercizi di riflessione.
Gli ingredienti fondamentali sono «buone gambe, udito fine e vista acuta». Queste sono le variabili che dipendono da noi, ma una condizione che, invece, non è dominabile, seppur necessaria, è l’inaspettato. È ciò che si verifica quando, camminando, correndo o pedalando a tutta velocità e col fiato corto mentre si è già in ritardo, ci si distrae. Ci si perde, per tornare un po’ bambini. E in questo perdersi continuo ci si ritrova, esploratori di una realtà spesso vicina, ma che si dava per scontata.
Una questione da non sottovalutare è il tempo. Non c’è una durata fissa, ma c’è una durata minima, anche un solo momento. Può trattarsi di una deviazione dalla routine, di una pausa tra una commissione e l’altra oppure proprio del tempo della commissione stessa, un attimo in cui ci si lascia coinvolgere dal contorno e si respira a pieno, ci si ferma. Ci si stupisce ancora.
Trattandosi per molti di un “esercizio dello spirito”, il luogo andrebbe scelto con cura e senza superficialità, ma non serve andare lontano. Spesso può bastare semplicemente sperimentare un nuovo cammino per tornare a casa dal lavoro, girare su se stessi e invertire la rotta, allungare il passo e spingersi qualche metro più in là, oltre una strada che sembrava chiusa, un angolo nascosto, un’abitazione diroccata. Basta affidarsi al proprio passo e lasciarsi andare.
La flânerie non è solo i viali delle grandi città, così ricche di storia e di arte che si fa fatica a non sentirsene sommersi, né gli eremi arroccati, la foresta e le isole tropicali. Può esserlo, ma non lo è. La flânerie può colpirti ovunque, quando non te l’aspetti, può trovarti nei posti meno probabili e travolgerti in momenti poco opportuni.
Quante volte ci è successo di guardare verso un palazzo che conosciamo da anni e pensare “Non l’avevo mai vista quella finestra lì”? O un’incisione sul muro, una scritta lasciata da qualcuno, una pianta che prende vita al bordo della strada, una nuvola che sembra una macchia e che ci stacca dal suolo, trascinandoci con lei chissà dove, senza muoverci da terra.
Perché alla fine, ciò che spesso conta non è né il punto di partenza, né quello di arrivo, ma il cammino che c’è in mezzo. E se non abbiamo fretta, che male c’è a farlo durare un po’ di più? «Andare è il punto, anche senza sapere dove. Anche sbagliando strada». E allora, non siamo forse tutti affetti da flânerie? E se ancora non lo siamo, cosa stiamo aspettando?
Stefania Malerba
Vedi anche: La guarigione intima ed emotiva di Drive my car