Eutanasia? Non ancora legale
La Corte costituzionale ha bocciato la proposta sul referendum abrogativo, definendo “inammissibile” il quesito sull’eutanasia.
Il 2022 si preannunciava come l’anno dei grandi referendum. Ma già il 15 febbraio la Consulta ha iniziato con la prima, sonora bocciatura.
Il referendum sul diritto all’interruzione di vita non è una richiesta nuova in Italia. Dal caso di Luca Coscioni nel 2006, a quello di Giovanni Nuvoli nel 2007, fino alla morte di Dj Fabo nel 2017, si è visto come il dibattito sull’eutanasia nel nostro paese non abbia mai cessato di essere attuale.
Lo scorso anno la raccolta firme organizzata nelle maggiori piazze italiane, promossa dalla campagna “Eutanasia Legale” dell’Associazione Luca Coscioni, ha raccolto 1,2 milioni di firme. Era stata anche data la possibilità di firmare online, grazia all’utilizzo dell’identità digitale. Si tratta di numeri notevoli, a fronte del minimo di 500.000 firme di elettori per proporre l’abrogazione di una legge.
Ma di quale legge si tratta? Il quesito referendario proponeva una abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale, che riguarda il cosiddetto omicidio del consenziente. In poche parole, secondo la legge in vigore, se si assiste una persona nell’atto del suicidio, si sta commettendo un delitto, condannabile con una pena che va dai 6 ai 15 anni di reclusione. Ciò che veniva proposto con questo referendum, dunque, era una depenalizzazione per quanti decideranno di aiutare nell’interruzione di vita propri pazienti, loro cari o persone che non vogliono più vivere.
Le reazioni alla notizia di ieri sono state diverse. Marco Cappato, che assistì il suicidio in Svizzera di Dj Fabo ed è un promotore della campagna “Eutanasia Legale”, ha affermato che si tratta di una brutta notizia per la democrazia, ma ha anche precisato che loro continueranno con altri strumenti: «Come con Piergiorgio Welby e Dj Fabo. Andremo avanti con disobbedienza civile».
Finora sono solo otto i paesi nel mondo che hanno legalizzato l’eutanasia attiva. Ma le altre vie percorribili, come il suicidio assistito o l’eutanasia passiva, in Italia stentano a crearsi. Solo pochi mesi fa è stato approvato, dopo aver accertato che vi fossero tutte le condizioni minime (stato fisico irreversibile, volontà del paziente, ecc…), il primo caso di suicidio medicalmente assistito per un uomo di 43 anni, tetraplegico da 10 a causa di un incidente, che ha chiesto più di un anno fa di porre fine a sofferenze fisiche e psicologiche “intollerabili”.
La Corte costituzionale, affermando che con questo cambiamento sull’omicidio del consenziente “non si tutela la vita”, ha posto una nuova battuta d’arresto alle proposte sull’eutanasia attiva voluta da migliaia di italiani. Il maggior strumento di democrazia diretta del nostro paese sembra aver fallito ancora. Ma l’indignazione di diversi politici e di buona parte dell’opinione pubblica fa ben sperare in una proposta di legge da portare in Parlamento, che possa tutelare finalmente il diritto di decidere della propria vita anche in Italia.
Elena Di Girolamo
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