Il Trionfo della Giustizia nella Sala di Astrea a Caserta
Il bello di un palazzo reale è tutto nella stratificazione.
Più delle date cerchiate in rosso, delle prese di potere e delle conquiste o delle nottate trascorse a sottolineare e divorare libri di storia, ciò che consente la memorizzazione o che più semplicemente resta nel cuore è la visita sul luogo stesso.
E così un’esemplificazione architettonica come la Reggia di Caserta smette di essere solo il frutto dei magniloquenti progetti carolini, prestandosi anche come palcoscenico di un susseguirsi di generazioni dai gusti differenti e da stili sovrapposti.
Con la cacciata dei Borbone, il palazzo non perde la sua aura di potenza e magnificenza, anzi i Napoleonidi continuano ad arricchirla portando al completamento di quanto lasciato in sospeso.
A dimostrarci il loro passaggio e la loro seppur breve permanenza invero non c’è soltanto la celeberrima incisione “qui non si muore” nella zona di Castellabate in Cilento, resa popolare da qualche film che ci fa conoscere Gioacchino Murat come un estimatore del panorama e della salubrità del clima.
Partecipano infatti anche le allegorie all’interno della Reggia di Caserta, che celebrano il trionfo dei due coniugi: Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte.
Se Gioacchino è presentato nei panni di un novello Marte dopo aver ricevuto la corona del Regno di Napoli, quella che desta altrettanta attenzione è la Sala dì Astrea dedicata alla consorte.
Il tema encomiastico non è esplicito fin da subito, ed è per questo che l’affresco è sopravvissuto al ritorno dei Borbone, i quali distrussero buona parte delle opere e delle modifiche apportate dagli usurpatori. In questo caso, l’affresco ad opera di Berger ha subito un riadattamento, poiché non rappresentante in maniera diretta Carolina Bonaparte; anzi non viene solo conservata la figura principale, viene ritoccata con l’inserimento di piccoli gigli dorati sulla corona della Giustizia: simbolo della dinastia Borbone.
Dunque al centro del dipinto l’allegoria della Giustizia ha le fattezze ricordanti quelle di Carolina, veste di bianco poiché è senza macchia ed è rappresentata con i simboli archetipici della giustizia: un fascio di verghe che richiama quello dei littori dell’antica Roma e la bilancia, al fine di ricordare che il giudizio non deve essere precipitoso.
A circondarla ci sono allegorie differenti, Ad esempio, sotto la base su cui poggia, è evidente la Corruttela nei giudici che è sul punto di alzarsi ed è affiancata da una volpe, la Calunnia con volto torbido, che tiene per i capelli un giovinetto che urla al Cielo per richiedere aiuto.
Ercole con una clava in mano si occupa di cacciare i vizi.
L’Inganno fugge la Discordia, in forma di furia infernale, l’Invidia è una donna armata con scudo e non mancano raffigurate le arpie.
E Astrea, a cui la sala è intitolata, dov’è?
In un angolo, in compagnia di suo padre Giove ed un’aquila, entrambi poggiati su una nuvola guardano dall’alto la schiera di figure.
La dea della Giustizia e la personificazione in Carolina Murat vogliono alludere alla perfezione del proprio regime, che troverebbe in questo senso legittimazione.
Della Giustizia si legge nelle pagine di Esiodo, di Virgilio e di Ovidio come l’ultima delle divinità ad abbandonare la terra per le offese che gli uomini le hanno arrecato e non manca certamente l’auspicarsi del suo ritorno.
Leitmotiv costante, quello di Astrea, sarà un mito adatto a tutte le stagioni del potere che intende cercare una propria legittimità iconografica e ragion d’essere, proprio come nel caso della sua committente.
Evocarla diventa non solo una scelta stilistica, ma come abbiamo visto in certi casi una vera e propria necessità.
Alessandra De Paola
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