Ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja… o quasi
Esistono domande che tutti, prima o poi, arriviamo a porci senza saperci dare una risposta soddisfacente.
Il mistero dei misteri della storia dell’arte, che non può non essere saltato all’occhio di qualunque visitatore di museo, riguarda proprio loro: gli orribili e praticamente anziani bambini medievali.
Se le mamme, in fondo, vedono sempre nei loro bambini l’incarnazione di ogni ideale di bellezza e perfezione, in questo caso ci vorrebbe del coraggio (o un livello sufficiente di miopia) per sostenere la stessa tesi.
L’arte è ricca di misteri, finezze da saper notare e retroscena evidenti agli storici ma difficilmente chiari ai più. Una delle cose che adoro fare è ascoltare cos’hanno da dirsi i visitatori di un qualsiasi museo davanti una qualunque opera d’arte, sebbene mi sia sempre chiesta cosa alimentasse questo bisogno di aggiungere necessariamente qualcosa, quando non si ha nulla da dire.
Credo che i commenti più esilaranti siano quelli riguardanti le teorie sulla bruttezza di questi piccoli angioletti ingiustamente rappresentati come uomini in età avanzata, sgraziati, dalle proporzioni non propriamente riconducibili a un infante.
Che i pittori medievali non sapessero dipingere poi così bene?
Come si fa a concepire un bambino con il riporto?
E il padre dov’è? Fuggito via?
Ma Gesù è nato stempiato?
Ma cerchiamo di fare lo sforzo di andare oltre le apparenze e ricordiamoci che ci sono tanti modi di approcciarsi alle creazioni artistiche – per quanto talvolta poco gradevoli alla vista possano essere.
Uno di questi consiste nel vedere le opere o, come in questo caso, un’intera categoria di rappresentazioni come degli enigmi da risolvere, da scomporre in più elementi, al fine di risalire a una spiegazione che abbia una corrispondenza effettiva con la realtà.
Per intraprendere questo cammino a ritroso immedesimandosi in un fruitore di opere artistiche del tempo, bisogna porsi delle domande anche al di fuori dei propri schemi di pensiero: prima fra tutte, è sempre esistito il concetto di infanzia, così come lo intendiamo noi?
Nell’antichità greca e romana, in realtà, i bambini non erano visti come le creature senza peccato né colpe che tanto ci fanno intenerire oggi, bensì come degli esseri selvaggi e informi, più vicini alle bestie che all’uomo. Infante deriva non a caso da in-fans, vale a dire “non parlante”, un carattere associato all’inferiorità fisica e morale del bambino rispetto all’adulto e a ciò che intellettualmente lo definisce tale.
Per umanizzare e perfezionare questo corpo debole e morbido che è il neonato, venivano combinati quotidianamente dei rituali speciali di pulizia e “modellamento”, tra cui la fasciatura. La principale fonte scritta che illustra queste pratiche di cura è il De arte morbisque mulierum di Sorano di Efeso, esperto di ginecologia, sui cui insegnamenti si basava la formazione delle ostetriche dell’epoca.
L’osservazione di statue, ex-voto e bassorilievi permette di completare questo studio. Le fasce permettevano di “fabbricare” il futuro cittadino romano – correggendo eventuali malformazioni, proteggendolo dal freddo e impedendogli di ferirsi – soprattutto innalzandolo dalla posizione fetale a quella verticale, emblema dell’essere-uomo.
Fondamenta di pensiero, queste, dure da abbattere nei secoli successivi. I bambini venivano spesso visti solo in funzione della loro futura forma adulta, al cui sviluppo difficilmente i genitori riuscivano ad assistere, a causa degli alti tassi di mortalità e abbandono (per illegittimità della prole o povertà) che interessarono queste giovani vite per tutto il medioevo.
Il sentimento dell’infanzia inizia a nascere proprio in quest’epoca tanto contraddittoria, di pari passo con la diffusione del cristianesimo e dei suoi valori. Pur non corrispondendo neanche lontanamente alla demografia medievale, con le sue famiglie numerose che arrivavano a contare tra gli otto e i dieci figli, l’esempio della Sacra Famiglia costituisce uno schema di base a cui ci si poteva facilmente identificare, un modello di amore domestico e di buona educazione.
Ma come fare della propaganda sacra in un’epoca con un così basso tasso di alfabetizzazione? Si afferma ulteriormente e si diffonde a macchia d’olio un’arte con una funzione diversa dalle tante che potrebbe avere per noi attualmente: la pittura a scopo narrativo.
Da questo momento in poi diventa impossibile scindere il contesto storico da quello artistico e viceversa. Nel periodo del Gotico e del primo Tardo Gotico il principale committente di opere artistiche non poteva che essere la Chiesa, unica a potersele permettere. I soggetti rappresentabili si limitavano quindi agli episodi biblici, per cui il realismo non era una priorità: ciò che contava era l’aspetto simbolico dell’immagine.
Cosa ci dice questo dei nostri cari scarrafoni medievali? Si tratta di derivazioni della figura latina dell’homunculus – piccolo uomo – che mirano a simboleggiare Gesù in fasce, il quale, teologicamente parlando, è un essere già compiuto, potenza e atto allo stesso tempo, nel neonato, già santo, vi è l’uomo adulto – figlio di Dio, profeta e martire sulla Croce in un’unica eterna essenza.
Il lento tramonto di questo genere di rappresentazioni si ebbe solo a partire dal 1400, con l’avvento del Rinascimento e dei suoi nuovi canoni, estetici stavolta. Ecco che ai volti severi e non proprio armoniosi dei bambini medievali si sostituiscono dei teneri, rosei fanciulli paffuti.
All’arte religiosa si affiancò infatti la committenza delle famiglie aristocratiche e borghesi, che certo non sarebbero state disposte a pagare per un ritratto di famiglia in cui i loro figli sarebbero stati rappresentati come gli omuncoli di derivazione bizantina.
Fortemente influenzati dalle radici classiche, gli artisti rinascimentali diedero nuovo lustro al culto del bello, ricercando l’armonia nelle migliori proporzioni, ritraendo una realtà tendente all’ideale.
Bambini, non adulti in miniatura.
Di lì a poco si afferma una concezione dell’infanzia come fase della vita a sé stante, un rinnovato interesse per la puericultura che passa per l’Emilio (1762) di Jean-Jacques Rousseau prima di arrivare alla moderna pediatria.
Per concludere, vi consiglio un account Instagram (cliccando qui) che non sapevate di voler seguire.
Non c’è di che!
Rebecca Grosso
Leggi anche: Michelangelo Buonarroti: il tesoro di Sant’Anna dei Lombardi si amplia