Polonia “al polonio” e l’agghiacciante storia di Agnieszka
In Polonia continua a mietere vittime la scriteriata legge anti-aborto del 22 ottobre 2020.
Procedono gli scontri e le proteste di fronte al colpevole silenzio del governo.
Mentre in Italia ci lamentiamo delle misure anticovid – facendo controversi paragoni tra green pass e stelle di David, Draghi e Mussolini, Repubblica e Terzo Reich – in altri stati d’Europa vengono bellamente calpestati diritti inalienabili che ingenuamente diamo per scontati.
Dopo la lotta alla comunità LGBT, la Polonia continua a dare notizia di sé… e non per qualche nuova conquista positiva.
Il partito al governo, “Diritto e giustizia”, persegue un programma politico fondato sul pensiero ultraconservatore del suo elettorato rigidamente cattolico che si poggia su una pericolosa morale bigotta.
Per capire meglio, riavvolgiamo il nastro.
Il 22 ottobre 2020 il tribunale costituzionale polacco ha proclamato incostituzionale la disposizione della legge del 1993 sulle condizioni per l’interruzione di gravidanza.
La nuova sentenza ha ristretto le possibilità di aborto ai casi di stupro, incesto o serio pericolo di vita della madre. È stato eliminato, invece, il ricorso all’aborto per malformazioni del nascituro, problematica di punta nella maggior parte dei processi sulla questione avviati nel 2019 (1074 su 1110).
La normativa, resa dunque più stringente, è stata applicata con grande zelo dalle autorità polacche, comportando notevoli rischi per i medici e per chiunque osi trasgredire la legge.
Le donne polacche non sono rimaste ferme a guardare: dal 2016, lo Strajk Kobiet, movimento femminile per la tutela dei diritti di Varsavia e dintorni, si batte contro le misure retrograde messe in atto dalle istituzioni nazionali.
Le affiliate al movimento sono scese in piazza a manifestare armate di slogan e cartelloni, spesso dipinti con pittura rossa a simboleggiare le metaforiche (ma neanche troppo) ferite inferte alla dignità umana da decisioni politiche di tal tipo.
Purtroppo di rosso si sono tinte anche le vite delle innocenti vittime di questo scellerato e disumano provvedimento. L’elenco non fa che ampliarsi.
È delle ultime settimane la notizia che ha fatto traboccare il vaso presso l’opinione pubblica internazionale. Una donna, individuata dalla stampa con il nome fittizio di Agnieszka T., per motivi di privacy e di rispetto nei confronti della famiglia, ha perso la vita proprio a causa dell’impossibilità (e della mancata volontà) dei medici di intervenire tempestivamente sulla sua gravidanza.
Le circostanze che hanno portato alla dipartita della povera ragazza, appena trentasettenne, ricordano la trama di un film dell’orrore. Agnieszka, incinta di due gemelli, ha dovuto assistere inerme alla morte di uno dei due bambini, provocata da un problema occorso durante il ricovero in ospedale.
Il personale del nosocomio, intimorito dalle eventuali ripercussioni dovute alla norma in vigore, non è voluto intervenire, condannando la donna a vivere per dieci giorni con uno dei figli deceduto in grembo. Questa terrificante versione, naturalmente, viene tuttora negata.
Nel frattempo, stando alle testimonianze della famiglia, le condizioni psico-fisiche di Agnieszka sarebbero peggiorate giorno dopo giorno, viste anche le alte probabilità di infezione dovute alla presenza di un corpo estraneo in via di deterioramento nella placenta della donna.
Alla vigilia del nuovo anno, è morto anche l’altro gemello e le condizioni di Agnieszka si sono aggravate ulteriormente.
Finalmente, il 25 gennaio, i dottori si sono risvegliati dal sonno della ragione e hanno deciso di intervenire con un’operazione, ma ormai c’era ben poco da fare.
Se questa vicenda non fosse di per sé abbastanza straziante, sappiate che oltre al danno si è aggiunta anche la beffa. Dato il trattamento destinato alla paziente, sembrerebbe quasi scontato che la sua morte sia dovuta a setticemia: in parole povere, un grave stato di infezione capace di agire su diversi organi del corpo umano, dando luogo a trombi e shock difficilmente curabili.
L’ospedale ha invece diffuso una balbettante versione ufficiale, secondo la quale il decesso della donna sarebbe stato legato al Covid e ad alcune sue complicazioni. Impossibile dal momento che la giovane vittima si era sottoposta a diversi tamponi risultando sempre negativa.
L’assurda e macabra vicenda non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco nella strenua battaglia per la salvaguardia dei diritti in Polonia. L’UE ha cercato di intervenire attraverso le varie sanzioni comminate allo stato reo di essersi allontanato dai valori comuni di uguaglianza e libertà pubblicizzate dall’Unione.
Evidentemente però, se continuano a verificarsi eventi del genere, non è ancora stato fatto abbastanza.
Per sostenere la causa, ovunque online è possibile partecipare a petizioni, quantomeno per divulgare un problema che altrimenti passerebbe facilmente sotto silenzio al di là dei confini nazionali.
L’informazione non può tacere dinanzi a tali tragedie, soprattutto quando l’origine va rintracciata negli errori evidenti commessi dalla politica.
Ci auguriamo che questo sia uno degli ultimi articoli sul tema e che Agnieszka non sia morta invano, ma al contrario che la sua tragedia serva da lezione ad un paese rimasto al palo nel trattamento dei diritti umani.
Giusy D’Elia
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