Tattoo in Giappone? Chiamate la polizia!
La lunga tradizione del tatuaggio giapponese è una storia di amore e di odio che si protrae da secoli e secoli.
Curiosamente in Giappone persiste, ancora oggi, una certa diffidenza verso l’arte del tatuaggio.
Ma da dove proviene questo stigma?
Irezumi (tattoo in giapponese): è questo il nome del tradizionale stile che allarga la sua simbologia a bestie mitologiche, animali sacri, fiori, figure note del folklore e chi più ne ha più ne metta.
Nonostante le arti decorative fossero ampiamente diffuse da molti secoli, l’irezumi ha invece visto il suo fiorire nel periodo Edo (1603 – 1868).
Durante questo arco temporale i tatuaggi erano utilizzati come punizione criminale, mentre alcuni professionisti iniziarono a farne uso come decorazione, specie i cosiddetti kyōkaku, cavalieri fuorilegge che proteggevano i civili da potenti corrotti.
Il fascino di queste figure crebbe esponenzialmente anche quando, alla metà del diciottesimo secolo, furono reinterpretate in una serie di illustrazioni folkloristiche.
Con la fine del periodo Edo e la Restaurazione Meji, il governo vietò il tatuaggio decorativo portando così tatuatori e tatuati ad escogitare modalità irregolari per praticare l’arte.
Il tatuaggio è stato legalizzato dalle forze di occupazione americane nel 1948, ma ha mantenuto il suo stigma criminale e abusivo. Per molti anni, i tatuaggi tradizionali giapponesi sono stati associati alla yakuza, la famigerata mafia, e molte attività in Giappone vietano ancora l’accesso ai tatuati.
Vedi anche: Tatuaggi male