Tina Modotti: “obiettivo” rivoluzione
Conosciuta come Tina Modotti, Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, oltre che attrice, antifascista e attivista comunista, è considerata una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo.
Nasce a Udine, nel quartiere di Borgo Pracchiuso, nell’agosto del 1896 da una famiglia modesta.
Il padre, Giuseppe Modotti, meccanico e carpentiere, la madre, Assunta Mondini Saltarini, casalinga e cucitrice.
Quando Tina ha solo due anni, la famiglia è costretta, per ragioni di natura economica, a emigrare in Austria ed è lì che nascono le altre sue tre sorelle e i due fratelli. Poco prima del compimento dei suoi dieci anni, il nucleo familiare torna a Udine, dove la bambina frequenta gli anni di scuola elementare.
Comincia a lavorare come operaia tessile presso la Fabbrica Premiata Velluti, Damaschi e Seterie Domenico Raiser, dall’età di dodici anni, contribuendo ai fabbisogni della famiglia, a cui era venuto meno il sostegno del padre, trasferitosi negli Stati Uniti in cerca di fortuna.
È in questi anni che Tina comincia a vedere il mondo attraverso l’obiettivo: curiosando nello studio fotografico dello zio paterno, Pietro Modotti, si avvicina alla fotografia, che diventerà la sua passione.
Nel 1913, giovanissima, Tina lascia l’Italia per raggiungere il padre a San Francisco, dove, prontamente, si avvicina al teatro, figurando spesso in rappresentazioni amatoriali di commedie di Goldoni e Pirandello, dirette a al pubblico dei migranti italiani in America.
Sposa il pittore Roubaix de l’Abrie Richey e si trasferisce con lui a Los Angeles per inseguire il sogno di una carriera da star del cinema.
Il suo esordio risale al 1920 con il film muto The Tiger’s Coat. Nonostante il successo di pubblico e critica, la “mercificazione” della sua figura, la indusse ben presto a preferire il retro dell’obiettivo.
Fu, però, l’incontro con il fotografo e maestro Edward Weston a segnare la svolta. Prima sua modella, poi amante, Tina finì con il separarsi dal marito – che morì a Città del Messico poco più tardi – e trasferirsi proprio in Messico nel 1923, per cominciare lì una nuova vita.
Il trasferimento in America Latina permise a entrambi di promuovere la loro attività, avvicinandosi ai circoli bohèmien della capitale e a diversi esponenti dell’ala radicale del comunismo.
Dagli Stati Uniti, Tina si ritrova, a questo punto, nel Messico post-rivoluzionario degli anni venti, una terra in pieno fermento culturale.
Conosce la pittrice Frida Kahlo, di cui fu amica e forse amante, e con cui condivide le battaglie militanti di pensiero comunista e femminista ferventi nel Messico di quegli anni.
Nel 1927 si iscrisse al Partito Comunista Messicano, avviando la fase più intensa del suo attivismo politico e, parallelamente, della sua attività come fotografa.
Alle nozioni basilari sul mezzo fotografico, apprese fin da piccola, Tina aggiunse la pratica e la volontà di migliorarsi e documentare la realtà, fino a raggiungere la fama internazionale.
Il fotografo messicano Manuel Alvares Bravo, interessato all’attività di Tina, ne suddivise la carriera in due periodi: romantico e rivoluzionario.
Il periodo romantico è segnato dal rapporto con Edward Weston; insieme aprirono uno studio di ritrattistica, ricevendo l’incarico di documentare, attraverso la fotografia, il Messico (alcune fotografie saranno poi raccolte nel libro Idols Behind Altars di Anita Brenner).
In questi anni, la Modotti si guadagna anche il titolo di “fotografa ufficiale” del movimento muralista messicano, i cui massimi esponenti furono José Clemente Orozco e Diego Rivera (dal 1940 marito di Frida Khalo).
Già entrata nel suo periodo rivoluzionario, alla fine degli anni venti, Tina subisce la morte del compagno e rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, ucciso da un oppositore politico. Seguirà un momento di forte pressione psicologica e politica, che la porterà a rifiutare anche l’incarico di fotografa ufficiale del Museo nazionale messicano.
Nonostante le difficoltà, la volontà di rappresentare la crudezza della realtà, attraverso la sua opera, non cede il passo all’immobilità; tanto da intraprendere un nuovo affascinante progetto: un reportage sull’Istmo della regione del Tehuantepec che ha come soggetto le donne, immortalate nella loro forza e straordinaria ordinarietà.
«Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore» dichiarava nel 1926.
Sono gli anni in cui la sua carriera raggiunge l’apice. Al dicembre 1929 risale la sua più nota mostra, pubblicizzata come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”.
Per ragioni politiche, è costretta a lasciare il Messico nel 1930. Abbandonata quasi completamente la macchina fotografica, si sposta prima a Berlino e poi a Mosca.
Qui impegna le sue ultime forze nel servizio del Soccorso Rosso internazionale per conto del quale svolge numerose missioni, prima di fare ritorno, sotto falso nome, in Messico, dove muore nel 1942, in circostanze mai chiarite del tutto.
Stefania Malerba
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