Il colore delle magnolie e delle banalità
Quando non sai cosa scegliere e ti serve un sottofondo mentre stai stirando la pila di vestiti che ti aspetta sulla sedia da due settimane, o mentre stai cucinando la pasta patate e provola con la ricetta della nonna, Netflix ha la serie per te: Sweet Magnolias
La seconda stagione de Il Colore delle Magnolie è uscita su Netflix il 4 febbraio, dunque perché parlarne ora? Perché si fa veramente fatica a finirla, ogni episodio ti induce alla sonnolenza profonda o alla voglia perfino di studiare piuttosto che fare binge-watching tutto il sabato pomeriggio.
Ma andiamo con ordine: la prima stagione era terminata con un grave incidente le cui vittime erano Kyle, il figlio di Maddie, e un passeggero misterioso che non viene rivelato.
La seconda serie, quindi, si apre con le protagoniste in ospedale, preoccupate per l’accaduto e con questo grande quesito: chi è l’altro passeggero?
Nel frattempo, in questo coinvolgente intreccio tra età della gioventù e età della maturità, si trova tempo anche per un battibecco adolescenziale che finisce con Tyler che si ferisce al braccio e non può continuare la sua stagione sportiva.
Il resto? Tutto abbastanza prevedibile: potrebbe essere una serie di Netflix come potrebbe essere una soap opera di Canale 5 o anche, perché no, potrebbe assomigliare alle chiacchiere di paese di zia Titina e di nonna Antonietta mentre vanno a messa la domenica mattina.
Gli adolescenti sono problematici, ma dai; i mariti tradiscono, molto strano; le donne divorziate fanno fatica a tenere insieme la famiglia tra lavoro e scuola dei figli, strano anche questo; all’orizzonte, ogni tanto, compare un maschio che torna a dare fiducia alla quarantenne di turno che dopo il divorzio credeva di restare sola per tutta la vita, che tenerezza; l’insegnante di uno dei figli diventa l’amore della vita di una delle protagoniste, quella più dolce, più pacata, più rassicurante, molto originale.
Quando sei lì a sperare che dicano qualcosa di particolarmente accattivante, no, ti deludono sempre, perché la sceneggiatura prevede la massima del secolo in stile Don Matteo.
Note positive (giuro, ne ho trovata qualcuna): fotografia e scenografia particolarmente brillanti, i colori sono saturi (ho un debole per la saturazione dei colori), l’arredamento è ordinato e moderno (fintissimo anche questo, ma facciamo finta che sia un fattore positivo), e infine, i capelli delle protagoniste sono sempre on point (adoro quelli di Maddie).
Insomma, la consiglierei?
Se fate fatica ad addormentarvi e avete bisogno di parole dolci e giudiziose perché volete credere ancora che ci sia un po’ di fiducia nel prossimo, allora sì, potete farlo. Ma se vi aspettate di guardare una serie avvincente che vi permetta di stare attaccati allo schermo, allora no, lasciate perdere.
Qual è il bello? L’hanno rinnovata anche per una terza stagione perché sia mai una ventata di rinnovamento nelle nostre vite.
Lucia Russo
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