La didattica del futuro – quando studiare diventa un gioco da ragazzi
«Che barba che noia che barba che noia!».
Ammettiamolo, quante volte abbiamo ripetuto questo tormentone seduti tra i banchi di scuola? Chi non ha mai rischiato di appisolarsi durante una lezione pesante e monotona?
Ma è solo “colpa” degli studenti menefreghisti e scansafatiche oppure anche i professori potrebbero osare di più?
La vecchia guardia sarà pronta a commentare che la scarsa passione dimostrata verso l’apprendimento sia dovuta ad una minor capacità e voglia di dedicare tempo e attenzione da parte dei ragazzi, viste le innumerevoli distrazioni di oggi. Spesso ci si riempie la bocca con i soliti «ai miei tempi…» senza considerare la realtà dei fatti.
Negli ultimi decenni, il settore dell’educazione non è stato uno degli obiettivi strategici del governo italiano. Anzi, sovente è stato proprio il ramo sacrificato in onore della parificazione di bilancio. Muoversi in un sistema educativo che presenta evidenti limiti strutturali, sociali ed edilizi diventa un’impresa titanica. Ecco perché la figura dell’insegnante dovrebbe dimostrarsi capace di accendere la luce nei discenti anche in un contesto di nere ombre.
Uno dei grandi problemi della didattica consiste nel modo in cui trasmettere delle conoscenze a un pubblico. Se pensiamo ad una lezione tipo, di certo immagineremo una classe affollata, file di banchi disposte parallelamente di fronte alla cattedra, tante orecchie più o meno tese in ascolto dell’unica e sovrana voce del docente. La “lezione frontale” così intesa è una modalità di insegnamento alquanto datata e basata sul retropensiero secondo il quale l’insegnante rappresenta il solo ed unico custode di un sapere assoluto e indiscutibile.
Questo tipo di retorica si rifà ad una corrente di studi meccanica ed emulativa, il behaviourismo, per cui certi comportamenti si possono “inculcare” nel prossimo solo attraverso un’emulazione forzata e motivata da premi e punizioni (essenzialmente costituiti dalle valutazioni). Insomma, in tal modo il processo didattico rimarrebbe legato ad un percorso unilaterale in cui futuri uomini e donne sono costretti a costituirsi come passivi apparecchi acustici e di riproduzione automatica.
Il susseguirsi nel tempo di nuovi e differenti modelli didattici ha ridefinito invece l’apprendimento come una costruzione attiva e personale dei saperi da parte dei discenti. Pertanto si sono sviluppate tante divertenti e innovative pratiche, alla portata di qualsiasi docente deciso a mettersi in gioco. Eccone alcune:
- Flipped Classroom
Questa tipologia prevede il capovolgimento delle mansioni degli studenti: essi infatti non dovranno seguire lezioni in classe per poi ripetere gli argomenti appena ascoltati a casa attraverso monologhi o esercizi. Bensì, lo studio dei nuovi contenuti avviene in maniera autonoma e autoreferenziale da parte degli alunni che recupereranno (anche su consiglio del professore o della professoressa) materiale didattico interattivo e multimediale da casa, per poi discutere in classe di ciò che è stato da loro appreso “per scoperta”. A questo punto i docenti andrebbero a correggere eventuali errori nell’apprendimento, permettendo ai singoli allievi di elaborare da sé le nuove informazioni.
- Debate
Questa tecnica didattica piacerà molto ai ragazzi spigliati nelle discussioni e nello scambio linguistico. Il coordinatore dell’attività predispone un topic da trattare nel corso di un dibattito tra due gruppi di studenti, i quali dovranno appoggiare o contrastare una determinata tesi. Ciò stimolerà il pensiero creativo degli apprendenti e le capacità di esporre in pubblico e di lavorare in gruppo.
- Jigsaw
Questa metodologia, messa a punto negli anni ‘70 da Elliott Aronson, prevede la suddivisione della classe in gruppi capitanati da leader. Ciascun membro del raggruppamento avrà un compito differente da svolgere che unito agli altri fornirà il quadro d’insieme dell’unità didattica da apprendere. Uno studio del genere permette agli studenti di agire in maniera autonoma pur non rinunciando alla collaborazione con gli altri. Il nome stesso del procedimento si basa sull’incastro, come in un puzzle (o jigsaw in inglese), dei ruoli dei singoli alunni.
- Peer Education
È simile alla Flipped classroom perché avviene un rovesciamento dei ruoli, ma con la differenza che in questo metodo il processo è ancora più accentuato. Alcuni alunni selezionati dal docente “giocano” a fare gli insegnanti. Questi dopo aver raccolto nozioni e notizie utili su un determinato argomento le riportano ai loro compagni di classe, simulando una lezione. Ovviamente il tutto coordinato dai Prof., i quali – in base al pensiero retrostante a tale metodologia – fungono da scaffolding (impalcatura), cioè da meri appoggi all’apprendimento diretto e in prima persona dei ragazzi che diventano soggetti attivi a tutti gli effetti.
- Role Playing
Un’altra modalità interattiva e divertente è il Role Playing. Il docente sceglie tre gruppi: uno dedito al controllo delle operazioni e alla loro valutazione finale e due che dovranno interpretare delle parti diverse. Si crea un’atmosfera ludica, come se si stesse partecipando ad un educativo gioco di ruolo. La finalità è per i gruppi “agenti” quella di immedesimarsi in determinate realtà o personaggi, mentre per il gruppo “di controllo” quella di sviluppare capacità analitiche e comprendere le dinamiche di fondo delle situazioni presentate.
- Didattica Laboratoriale
Sotto questa nomenclatura rientrano svariate pratiche che hanno un obiettivo comune: porre al centro operazioni concrete riapplicabili anche al di fuori del contesto scolastico, in preparazione all’ambiente lavorativo. Per “laboratorio” non si intende solo un’attività svolta in un particolare locale dell’edificio scolastico, ma qualsiasi tipologia di mansione pratica. Un aggettivo purtroppo estraneo all’insegnamento prediletto nelle nostre scuole, spesso e volentieri fumoso e teorico.
Abbiamo esposto solo alcune delle innovazioni didattiche che potrebbero dare una scossa al concetto di “fare lezione”. Questa manfrina non vuole essere un’accusa spregiudicata e categorica a tutti gli insegnanti e ai loro modi, quanto più un invito ad integrare e a combinare le metodologie didattiche tradizionali con quelle nuove.
Certo è più facile a dirsi che a farsi, il tempo è poco, i programmi sono infiniti e le disposizioni ministeriali non lasciano largo spazio alla fantasia e alla creatività. È il sistema scolastico in toto che andrebbe rivisitato.
Ma riflettiamo: è meglio trasmettere imponendo dall’alto una serie di nozioni mnemoniche che verranno dimenticate qualche mese dopo oppure è meglio far sviluppare ai ragazzi un tipo di intelligenza plurisensoriale e multiesperienziale, più funzionale nel nuovo millennio digitalizzato e globalizzato?
Giusy D’Elia
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